Arrivano le Feste, ma c’è davvero poco da stare allegri. Il 2023 inizierà nel segno della guerra in Europa, quella tra Russia e Ucraina in corso dal 24 febbraio scorso con le sue migliaia di morti sotto le bombe o per il freddo e quella che cova tra Kosovo e Serbia, tra i quali la tensione è tornata altissima proprio negli ultimi giorni, con dichiarazioni di fuoco, accuse reciproche e trasferimenti di reparti armati (altro che le scaramucce tra giocatori sui campi di calcio del mondiale in Qatar). Ma anche facendo astrazione da questo drammatico contesto internazionale e volgendo lo sguardo alla situazione economica e sociale del nostro piccolo paese, pur sempre tra i più ricchi del pianeta, la considerazione d’entrata resta valida. Almeno se pensiamo alle difficoltà oggettive cui sono confrontati molti salariati, molti pensionati, molte donne, molte famiglie e molte persone fragili, a cui la politica non sa (e non vuole) prestare orecchio e tantomeno dare risposte e offrire soluzioni. Non si può giungere a diversa conclusione di fronte ad alcune decisioni prese recentemente a livello parlamentare, in particolare in materia pensionistica, di parità di genere e di salvaguardia del potere d’acquisto. Si pensi per esempio all’ennesima esplosione dei premi dell’assicurazione malattie (che l’anno prossimo aumenteranno mediamente del 6,6% a livello svizzero e di quasi il 10 per cento in Ticino) aggravata quest’anno dal rincaro generalizzato di beni e servizi che necessitiamo per la nostra vita quotidiana. Un contesto straordinario che mette in difficoltà ampie fasce di popolazione e che dunque necessiterebbe di misure straordinarie. Come per esempio un aumento immediato dei sussidi per la riduzione dei premi alle persone con redditi modesti. Ma a Berna la maggioranza di centro-destra al Consiglio degli Stati ha definitivamente affossato un progetto (che era invece stato approvato dalla Camera del popolo) che andava in questo senso. E i Cantoni tendono dal canto loro a ridurre il loro contributo alla riduzione dei premi o si rifiutano di apportare qualsiasi correttivo, come ha fatto recentemente il Gran Consiglio ticinese respingendo un’iniziativa della sinistra tesa ad agevolare l’accesso ai sussidi e ad allargare la cerchia di beneficiari. E che dire dell’attacco ai salari minimi cantonali sferrato l’altro giorno dal Consiglio nazionale, che potrebbe far piombare nella povertà altre migliaia di persone? Semplicemente indegno! Come se la crisi del potere d’acquisto non esistesse. Ma la maggioranza borghese che “governa” questo paese ha mostrato il suo vero volto anche nei confronti dei pensionati di domani, in particolare delle donne. Dopo aver promesso, durante la campagna referendaria sulla riforma AVS 21 approvata dal popolo (seppur di strettissima misura) il 25 settembre scorso, interventi contro la disparità di trattamento delle pensionate nel quadro della previdenza professionale e dopo aver ottenuto l’innalzamento a 65 anni della loro età pensionabile, la destra sta imponendo una riforma del secondo pilastro (votata pochi giorni fa dal Consiglio degli Stati) fortemente penalizzante per le donne e che comporta una riduzione delle rendite. Un ennesimo atto del progetto di privatizzazione strisciante della previdenza per la vecchiaia, che prevede l’indebolimento delle assicurazioni a carattere sociale in favore di un sistema privato (terzo pilastro). Per la gioia dei grandi gruppi assicurativi. L’introduzione di una tredicesima rendita Avs (oggetto di un’iniziativa popolare del movimento sindacale), una misura non risolutiva di tutti i problemi degli anziani ma certamente ragionevole e comunque un toccasana, viene invece nettamente bocciata sia dal Consiglio federale sia dal Parlamento. Fermare il deterioramento delle rendite pensionistiche sarà certamente in cima alle priorità sindacali del prossimo anno. E una delle tante ragioni per una forte mobilitazione (di tutte e di tutti) per lo sciopero delle donne del 14 giugno 2023.
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