«Reazioni simili a quelle del 1918»

Un confronto tra la situazione di oggi e quella dell’epidemia di peste spagnola evidenzia la forte continuità delle istituzioni

Lo studioso della storia, di norma, ha un certo distacco rispetto all’epoca che sta analizzando. Con lo scoppio della pandemia del Covid-19, Séveric Yersin, dottorando all’Università di Basilea, si è invece trovato di colpo a vivere una situazione simile all’oggetto delle sue ricerche, ossia la nascita delle istituzioni sanitarie pubbliche in Svizzera e il loro ruolo durante le grandi epidemie.

 

Certo, i contesti sono diversi, ma in un certo senso quanto avviene oggi permette di meglio comprendere quello che è avvenuto in passato. E viceversa. Abbiamo intervistato Séveric Yersin (foto) per cercare di comprendere come le attuali risposte di Berna siano il frutto di un complesso percorso legislativo partito a fine Ottocento.
Signor Yersin, in che contesto politico nascono le prime istituzioni sanitarie federali?
Gli inizi di queste istituzioni avvengono in un contesto di rapporti di forza che oppongono i radicali, in posizione egemonica, ai conservatori e, in misura minore, ai liberali. Una prima commissione sanitaria nazionale è convocata nel 1879 dal Consigliere federale radicale Carl Schenk, medico di formazione. Tale commissione è composta di cinque medici incaricati di preparare una legge contro le epidemie. Questo primo tentativo di legiferare a livello federale sulla salute pubblica sarà fortemente criticato dai conservatori in un clima di aspre tensioni.


Un confronto che avrà il suo apice con il progetto di legge sulle epidemie. Cosa è successo?
L’aspetto più delicato di questo progetto del 1879 è costituito dalle misure da seguire in caso di minaccia epidemica. Il Consiglio federale avrebbe potuto dichiarare lo stato d’urgenza e inviare dei commissari dai poteri straordinari sul terreno. Al di là di questa intrusione federale nelle competenze cantonali, intollerabile per i conservatori, emerse anche il rischio di uno stato d’urgenza permanente: il fatto che lo Stato federale potesse determinare quando ci fosse la minaccia di un’epidemia significava, secondo i conservatori, conferirgli un potere d’intervento illimitato. Perciò fu lanciato un referendum, cosa rara all’epoca.


Quale sarà il risultato?
Nel 1882, il progetto di legge è respinto in maniera chiara: il 79% dei votanti lo rifiuta. Gli oppositori al progetto avevano organizzato un’accesa campagna in tutta la Svizzera. Una campagna organizzata soprattutto contro l’obbligo di vaccinarsi contro il vaiolo, contenuta nel progetto e presentata come un inammissibile intervento dello Stato nelle libertà individuali dei cittadini.


Questo voto segna la fine dei progetti sanitari del Consigliere federale Schenk?
No. Nel 1886 un secondo progetto, una versione edulcorata del primo, entra in vigore senza opposizioni particolari. L’obbligo di vaccino è abbandonato e la legge – e quindi lo stato d’urgenza in essa contenuta – era estesa solo a quattro malattie specifiche. Inoltre, viene a cadere il progetto di creare un’istituzione federale di salute pubblica.
Qualche anno più tardi, però, viene creata questa prima istituzione centrale.

 

Come è stato possibile?
Nel 1889, Friedrich Schmid è assunto come primo referente sanitario federale. È lui che, nel 1893, firma a nome della Confederazione un trattato internazionale di lotta contro il colera che obbliga gli Stati firmatari a dotarsi di un’amministrazione sanitaria nazionale. È così che è stato creato l’Ufficio federale dell’igiene pubblica (Ufip), antenato dell’attuale Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp). Questo senza che il Parlamento e l’opposizione conservatrice siano stati in precedenza consultati. Anche se poi ratificano il trattato senza che ci fosse un grande dibattito.


Quale è la sua opinione generale su questo periodo?
La nascita delle istituzioni svizzere di lotta contro le epidemie è profondamente marcata dal fallimento del primo progetto di legge. Non è tanto il principio di una legislazione federale che ha suscitato la resistenza dei conservatori, ma piuttosto il loro proverbiale rigetto di qualsiasi centralizzazione. L’amministrazione sanitaria federale che si svilupperà in seguito resterà debole, incapace di fare applicare una legge ristretta e rigida di fronte alle resistenze di numerose autorità cantonali reticenti a seguire le indicazioni dell’Ufip o dotate di infrastrutture e istituzioni sanitarie poco preparate. Ciò che sarà evidente durante la tragedia della febbre spagnola nel 1918-1919.


Quale fu l’efficacia delle istituzioni sanitarie pubbliche svizzere durante la grippe spagnola?
La pandemia di grippe mette in luce l’impotenza delle autorità sanitarie inquadrate dalla Legge federale sulle epidemie del 1886. Le istituzioni sanitarie della gran parte dei cantoni e l’Ufip dispongono di informazioni lacunose su questa febbre: il suo agente patogeno è sconosciuto e i casi non sono sistematicamente recensiti. Tuttavia, dopo quattro anni di pieni poteri dovuti alla Prima Guerra mondiale, il Consiglio federale è abituato a governare con la mano di ferro. Invece d’integrare la grippe nelle malattie coperte dalla legge, è attraverso delle ordinanze federali urgenti che le autorità reagiscono alla pandemia. La prima ordinanza è del 18 luglio del 1918 e delega alle autorità cantonali il diritto di vietare gli assembramenti con lo scopo di evitare la propagazione della malattia. In realtà, vi era anche uno scopo politico.


Quale?
Soltanto qualche giorno prima, il 12 luglio 1918, con lo scopo d’impedire al movimento operaio d’organizzarsi e di lanciare uno sciopero generale, il Consiglio federale conferisce tramite ordinanza ai Cantoni il diritto di sorvegliare, vietare e disperdere gli assembramenti pubblici. L’ordinanza del 18 luglio appare quindi come un complemento di questa misura.


Insomma, con la scusa della grippe si tenta di bloccare l’emergere di un forte movimento operaio?
Sì. L’argomento sanitario si rivela essere uno strumento particolarmente efficace per ostacolare il movimento operaio. C’è da dire che le stesse organizzazioni operaie accettano più facilmente che i loro eventi siano controllati o vietati in nome della preservazione della salute pubblica che a quello del mantenimento dell’ordine pubblico.


In generale, cosa l’ha colpita rispetto a quanto sta avvenendo oggi?
Si notano due cose. Da una parte, i poteri pubblici reagiscono in maniera simile al 1918, ciò che mette in evidenza la forte continuità delle istituzioni. Nel 1918 le autorità decretavano il divieto di raduni, proibivano o regolamentavano il culto e gli eventi religiosi, chiudevano scuole, cinema e teatri, aprivano ospedali di emergenza e aumentavano la retribuzione del personale medico. Lo Stato federale delegava le competenze ai Cantoni, e sono le autorità cantonali a decidere sull’applicazione delle misure – con grandi disparità cantonali, come ad esempio tra Basilea Campagna (che applica rigidi divieti) e Basilea Città (che respinge il divieto di riunione).
D’altra parte, la popolazione mostra sì una grande fiducia nello Stato, ma si dimostra capace di mobilitare delle strutture di solidarietà che pensavamo quasi morte in questi ultimi anni.

Pubblicato il

09.04.2020 15:33
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