Una nuova politica fiscale, una nuova politica dei salari e una radicale ridefinizione delle regole della piazza finanziaria: ecco ciò che serve al Paese. Lo dice il presidente dell'Uss Paul Rechsteiner.

Ora lo sappiamo: l'Ubs versa quest'anno non solo 2,2 miliardi di bonus, come da lei stessa comunicato, ma almeno 3,5 miliardi. Paul Rechsteiner, presidente dell'Unione sindacale svizzera (Uss), che ne dice?
È un ulteriore capitolo di questa tragedia. Quando un'impresa si attacca al rubinetto dello Stato non si possono giustificare i bonus e neppure dei salari superiori al mezzo milione di franchi. È questo il limite che il presidente Barack Obama ha posto negli Stati Uniti. Mezzo milione, non un centesimo di più: questo dev'essere anche il limite delle imprese vicine allo Stato come Swisscom, Posta o Ffs. Perché la crisi finanziaria è stata pesantemente determinata proprio dai salari eccessivi nel settore bancario e dalla pressione sui salari delle classi di reddito basse e medie.
Ma come massimo esponente della gerarchia sindacale lei dovrebbe difendere queste "componenti variabili del salario", come Ubs definisce i bonus: essi includono anche la tredicesima.
L'Associazione svizzera degli impiegati di banca (Asib), che è pure membra dell'Uss, difende il versamento di bonus nelle classi di stipendio basse e medie, in quanto essi sostituiscono la tredicesima. Stiamo parlando di salari fino a circa 100 mila franchi all'anno. In questi casi nessuno ha nulla da ridire se si versa la tredicesima. Ma il problema è un altro. E se il presidente del Consiglio d'amministrazione di Ubs Peter Kurer giustifica 3,5 miliardi di bonus con la tredicesima versata a chi percepisce salari bassi e medi, allora sta ingannando la popolazione.
Ma di questo inganno sono partecipi anche L'Autorità di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) e il consigliere federale e ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz.
È qui che sta il lato pazzesco di tutta la faccenda: a conti fatti la Finma e il Dipartimento delle finanze, che dovrebbero tutelare gli interessi pubblici, hanno benedetto l'inganno di Ubs. Ma questo non stupisce: il presidente della Finma Eugen Haltiner è un ex impiegato e ligio servitore di Ubs esattamente come lo è Merz. I due si conoscono da una vita, ed è lo stesso Merz ad aver spinto Haltiner ai vertici della Finma (cfr. area n.2 del 13 febbraio 2009, pag. 7, ndr). Abbiamo dunque a che fare con un classico caso di intreccio di relazioni, con la commistione fra interessi privati ed interessi pubblici. In questo intreccio di relazioni un ruolo importante  lo giocano i partiti borghesi. Tacciono, ignorano il casino, fanno come se nulla fosse accaduto. In definitiva sono sempre e ancora sponsorizzati dalle banche. Questo intreccio di interessi è una forma di corruzione.
Il ministro delle finanze Merz e il capo della Finma Haltiner sono ancora difendibili nelle loro funzioni?
In questa crisi finanziaria sono tutti e due al posto sbagliato e rappresentano entrambi un rischio per l'intero sistema. Nei rapporti con Ubs ci vogliono dei rappresentanti dello Stato forti ed indipendenti. Merz ed Haltiner non lo sono. Per questo se ne devono andare.
Nel dibattito parlamentare straordinario sulla crisi finanziaria lei ha detto che il pacchetto da 68 miliardi per salvare Ubs è una violazione della Costituzione. Perché?
Il pacchetto è stato adottato dal Consiglio federale sulla base del diritto d'urgenza. In questo modo è stato sottratto al controllo democratico del Parlamento e del popolo. In definitiva l'ultima decisione se accettare o meno il pacchetto da 68 miliardi messo a disposizione dallo Stato spetta agli azionisti di Ubs. Noi contribuenti invece, che questi miliardi li paghiamo, non abbiamo nulla da dire.
Dunque la crisi non è solo economica, ma anche di democrazia. Che fare ora?
È necessario che ripensiamo a fondo quale politica deve governare la piazza finanziaria svizzera. Perché è la piazza finanziaria che ci ha condotto nel caos. Nessuno è in grado di stimare anche solo vagamente le dimensioni e i rischi della crisi. Ancor meno i vertici di Ubs, che continuano ad esibirsi nella loro retorica tranquillizzante e propagandistica. Primo fra tutti il boss di Ubs Peter Kurer, che dà l'impressione di non avere neppure in qualche modo sotto controllo la crisi. E se è vero ciò che ha scritto la stampa domenicale, cioè che Ubs ha iscritto nei suoi bilanci anche dei crediti della Cassa pensioni, come a suo tempo già fece Swissair, allora le cose stanno ancora peggio di quanto molti pensano. A differenza di Kurer, i direttori della Banca nazionale e dell'Amministrazione federale delle finanze, che qualcosa ne capiscono, sono molto prudenti e circospetti. Che siano diventati così pallidi dimostra che ci vorrà ancora molto prima che la crisi sia superata.
Se non altro ora anche il vicepresidente dell'Udc Christoph Blocher chiede che Ubs sia controllata dallo Stato. Non le fa piacere questo aiuto che le viene da destra?
Evidentemente Blocher ha capito che le sue ricette politiche non valgono niente. Era proprio Blocher che negli anni '90 assieme all'amico Martin Ebner predicava il Verbo del shareholder-value, il capitalismo azionario, e che pretendeva una redditività del 15-20 per cento. È proprio questo turbo-capitalismo che ora ci ha portato alla crisi. Se Blocher sta imparando qualcosa significa ce le cose si stanno muovendo.
Un paio di votazioni popolari dell'8 febbraio sembrano confermarlo. Due volte la base dell'Udc ha votato assieme alla sinistra: nella votazione sull'abolizione della tassazione globale nel canton Zurigo e nel No schiacciante alla privatizzazione parziale dell'Azienda elettrica di Thun (cfr. area n. 2 del 13 febbraio 2009, pag. 5). Come interpreta questi due risultati sorprendenti?
La gente ne ha abbastanza delle ricette neoliberali. Non vogliono più né le privatizzazioni né i superricchi che evadono il fisco. Non si è ancora assolutamente capito in che misura il collasso del capitalismo finanziario e la crisi economica stanno mettendo il mondo sottosopra. Ma i più ormai sentono che nulla sarà più come prima. Che un piccolo partito di sinistra con la sua iniziativa contro la tassazione globale abbia vinto in un cantone borghese come Zurigo, è un evento sensazionale. E lo è pure il fatto che la privatizzazione parziale dell'Azienda elettrica di Thun sia stata spazzata via dall'85 per cento dei votanti. Per la sinistra questi sono i primi segnali di un grosso cambiamento politico: ora ci vuole un'altra politica fiscale, un'altra politica salariale e il rafforzamento del servizio pubblico.
È quanto chiederà anche il 12 marzo? Quel giorno lei incontrerà in un vertice di crisi la ministra dell'economia Doris Leuthard assieme ai rappresentanti dei datori di lavoro e dei cantoni.
Per molto tempo il Dipartimento dell'economia ha sminuito la gravità della crisi. Nel frattempo stiamo se non altro parlando di un secondo pacchetto di misure a sostegno della congiuntura. Ma è ancora troppo poco. Al vertice di crisi si dovrà avviare un terzo pacchetto di tutt'altre dimensioni. Che dovrà pure sostenere il potere d'acquisto. Perché la velocità con cui cresce la disoccupazione è altissima e dimostra che la situazione si sta facendo insostenibile. Bisogna stare attenti che la politica finanziaria della Confederazione attraverso il freno all'indebitamento non porti all'autostrangolamento dello Stato. Perché con il freno all'indebitamento tutti gli investimenti che vengono decisi devono essere compensati da un'altra parte nei conti della Confederazione con misure di risparmio. Anche qui il consigliere federale Merz è una parte del problema, non della soluzione.

Pubblicato il 

27.02.09

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