Quello che resterà dei mutamenti

La pandemia ha smosso idee, iniziative, interventi d’autorità che sino a qualche tempo fa erano ritenuti l’harakiri dell’economia, utopia di tempi superati, irrealismo di folli, assurdità o inapplicabilità politica-democratica. Ricordiamo pochi esempi significativi.


Lo Stato, dapprima. Divenuto “il problema”, sistematicamente avversato, demolito e deregolamentato e così... via al sempre meno-Stato, allo Stato incapace e intralcio dell’economia di mercato, allo Stato sociale sinonimo di sperpero e irresponsabilità, alla privatizzazione dei servizi pubblici per accrescere efficienza e concorrenza, ma in realtà per privatizzare i benefici e statizzare i costi d’esercizio, al principio subdolo della sussidiarietà – da poco messo nella costituzione ticinese (un altro paradosso cantonticinese) – che scaccia lo Stato per lasciar posto a finalità private o di parte.

 

L’indebitamento pubblico, poi. Ritenuto non il sangue ma la sanguisuga dell’economia, tanto da imporgli nella Costituzione dei limiti, ostacolando persino una politica anticiclica (spendere per poter riattivare l’economia e l’occupazione), adottando ferrei rapporti tra debito, bilancio, indebitamento globale e prodotto interno lordo. Da contrapporgli, quindi, il risparmismo o la politica di austerità, con il taglio dei bilanci sociali, imposto anche dalle organizzazioni internazionali manovratrici di fondi, che hanno sempre colpito i deboli, i lavoratori e arricchito banche e finanzieri. Tanto da diventare la triste corona di una continua sequenza di crisi irrisolvibili, ribaltatasi qua e là tra i diversi Stati, cui abbiamo assistito negli ultimi anni, e che torna ora a sconquassare più forte che mai l’Unione Europea, con conseguenze anche sulla Svizzera (problema franco). L’assioma o il dogma della ricchezza generosa, in seguito. Imposto ovunque, su istigazione dell’ideologia anglosassone dominante dagli anni ’80, che la società non esiste, esistono solo gli individui, e che quindi, in perfetta logica, l’ingiustizia redistributiva è un non-senso, il prelevamento fiscale è solo punitivo. Se alcuni individui riescono ad accumulare ricchezza è giocoforza, per il principio stesso dei vasi comunicanti, che la ricchezza sgocciolerà poi anche sugli altri. È avvenuto invece il contrario: la ricchezza si è accumulata da una parte, non è sgocciolata come si dava per certo. Tanto da allarmare persino le stesse organizzazioni internazionali poiché accumulo di ricchezza e scarsa ridistribuzione di reddito (a chi ha bisogno, a chi domanda e compera) significano strozzamento economico (sovrapproduzione o offerta in difficoltà).


Lo Stato è tornato protagonista, unico manovratore possibile e credibile nell’urgenza sanitaria e nell’affrontare la conseguente crisi economica, tanto che, se non ci fosse, pur con tutte le sue incertezze e insufficienze, saremmo in una strada cieca, senza sbocco. L’indebitamento a suon di miliardi – tanto che le cifre appaiono persino azzardate rispetto al terrore che ci era stato inculcato negli anni passati – è diventato l’unico stratagemma salvifico, non solo economico. Appare anche come il salvagente di un minimo di civiltà umana. Nelle sue varie forme riesce persino a prescindere dalle lunghe complicanze burocratiche di sicurezza o dalle avversioni congenite della destra antistatalista. E sembra così realizzare quell’“economia elicottero” (far piovere dollari dal cielo) suggerita mezzo secolo fa da qualche illustre economista che pensava solo al modo di incrementare ancora la domanda, abolendo però gli interventi dello Stato o gli oneri sociali, e quindi spingendo solo la crescita economica e i profitti, ingannando lavoratori e consumatori. Oppure sembra dar vita nientemeno che a quel “reddito universale” incondizionato, cui tutti avrebbero diritto non tanto per incrementare l’economia o per abolire gli oneri sociali, ma per vivere degnamente e umanamente, al quale gli svizzeri hanno opposto non molti anni fa un deciso no, ritenendolo una folle invenzione a copertura dei soliti sfaccendati idealisti.


Quanto di questi mutamenti lascerà la crisi attuale, che li ha imposti, è tutto da vedere. Anche se tutti dicono che non sarà più come prima. Ma il modo di interpretare quel “prima” appare già diverso e non può essere un segnale di cambiamento il rinvio, per immagine o qualche scrupolo, della distribuzione dei dividendi agli azionisti, annunciato da grandi banche e grosse società, su suggerimento della Finma. Anche perché ti avvertono subito che a rimetterci sarebbero le casse pensioni, che si alimentano di quello, e quindi tutti noi, lavoratori-risparmiatori. Qui il famoso sgocciolamento conta, purtroppo.

Pubblicato il

23.04.2020 17:07
Silvano Toppi