L'editoriale

Per molte lavoratrici e per molti lavoratori la crisi del coronavirus non produce solo preoccupazione e disorientamento per i rischi legati alla salute e per il repentino cambiamento delle abitudini di vita cui tutti noi siamo e saremo costretti per cercare di rallentare la diffusione dell’infezione e scongiurare un collasso del sistema sanitario.

 

Perché in questa tragica situazione ci sono anche dei datori di lavoro che ne approfittano per precarizzare ulteriormente le condizioni d’impiego e che tentano di scaricare interamente sui salariati i costi economici dell’epidemia. Tagli salariali, vacanze forzate, soggiorno obbligatorio, congedo non pagato coatto, licenziamenti abusivi: nelle pagine interne del giornale riferiamo di alcune iniziative e comportamenti padronali assai discutibili che in Ticino da alcuni giorni si registrano con sempre maggiore frequenza e che verosimilmente vedremo presto anche altrove.


Vi sono poi decine di situazioni ambientali lavorative dove di fatto le raccomandazioni che ci vengono impartite, si pensi in particolare alla cosiddetta distanza sociale o alle norme igieniche, non sono di fatto rispettate o non lo possono essere. Con tutto ciò che questo comporta per la salute fisica e la serenità psichica dei dipendenti.


La questione del diritto al salario per le persone non malate ma che per una ragione correlata al coronavirus (sospensione o riduzione dell’attività, messa in quarantena) non possono lavorare, rappresenta un altro grave problema.  E non solo per l’insicurezza sociale che l’assenza di reddito produce, ma anche per i rischi sanitari connessi a comportamenti sbagliati cui si potrebbe essere indotti pur di guadagnarsi da vivere.


Di qui l’urgenza che ogni azienda si assuma le sue responsabilità e che le autorità federali e cantonali intervengano con ogni mezzo e mettano a disposizione gli strumenti adeguati per garantire il rispetto rigoroso delle misure sanitarie anche sui luoghi di lavoro. E se il prezzo da pagare sarà quello di fermare parzialmente o totalmente l’attività lavorativa sul territorio ticinese, lo si dovrà fare.


Alla Svizzera non mancano certo le risorse per finanziare un piano di salvataggio economico per compensare le perdite (probabilmente gigantesche) che l’economia in questa fase di crisi inevitabilmente subirà, garantendo così al tempo stesso il salario ai lavoratori e dunque il rispetto della loro dignità.

Pubblicato il 

13.03.20

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