Chi non è omosessuale dice spesso delle stupidaggini sull’omosessualità. È successo anche a me, quattro anni fa, durante una conferenza sull’omofobia, all’Università di Losanna. Stavo parlando della situazione tragica degli omosessuali in Uganda. In questo paese africano, a causa anche dell’influenza degli appelli all’odio lanciati da alcuni pastori evangelici americani, i gay e le lesbiche non hanno tregua e sono costantemente minacciati e molestati, a volte perfino uccisi. Questa è per esempio la storia di David Kato la cui foto era stata pubblicata da un tabloid con lo slogan “Impiccateli!”. David è stato ucciso nel 2011. Da allora il Parlamento ugandese ha adottato numerose leggi discriminatorie che hanno causato una recrudescenza delle violenze omofobe. Purtroppo l’Uganda è solo un esempio tra tanti. Durante la conferenza ho maldestramente usato l’espressione “la scelta dell’omosessualità”. Alla fine una studentessa mi ha avvicinata e mi ha chiesto, senza aggressività, se avevo scelto di essere eterosessuale. No, è stata la mia risposta. “Nemmeno io ho scelto di essere omosessuale” mi ha spiegato lei, “E da quando ho accettato questo fatto vivo finalmente in pace con me stessa.” Ultimamente diverse personalità vallesane hanno dato il proprio contributo al già lungo elenco di stupidaggini sull’omosessualità. In particolare affermando che “l’omosessualità può essere guarita” e che “gli omosessuali soffrono”. Naturalmente ognuno ha il diritto di dire la sua in merito alla sessualità degli altri, che si tratti dell’astinenza o di altre pratiche sessuali. Ma affermare che le persone omosessuali soffrono a causa del loro orientamento sessuale significa non capire la causa di questa sofferenza: queste persone soffrono a causa dell’atteggiamento di una fetta della società, soffrono perché vengono considerate come malati da curare. Il rigetto può avere delle conseguenze drammatiche, in particolare tra i giovani. Il tasso di suicido è infatti nettamente più elevato tra gli omosessuali. È proprio per questo che, anche oggigiorno, una Gay Pride è fondamentale ovunque nel mondo, anche in Svizzera, anche in Vallese. Amnesty sarà presente il 13 giugno a Sion e organizzerà nei giorni precedenti un incontro con una giovane attivista impegnata nella lotta contro le persecuzioni di gay e lesbiche in Camerun. Una Gay Pride è una “marcia per l’orgoglio”. Non perché fieri di essere omosessuali, questa non è una scelta, ma perché orgogliosi di viverlo pubblicamente. E dimostrare così, perché è palesemente ancora necessario, che l’omosessualità non deve essere guarita.
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