Corrono spesso critiche e malumori negli ambienti imprenditoriali o tra i politici che li rappresentano per l’eccesso di burocrazia. La Segreteria di Stato dell’economia ne ha ideato una sorta di “termometro” e l’ultimo rilievo diceva che su 1.500 imprese intervistate, il 60 per cento ritiene che l’onere amministrativo (la burocrazia) è “piuttosto pesante” o “pesante”. L’Unione padronale svizzera la definiva subito in un suo bollettino: “Un veleno”. Lamentele o opposizioni analoghe negli ambienti bancari dopo il crollo del Credito Svizzero. Il rapporto della commissione d’inchiesta parlamentare rileva che la cattiva gestione della banca da parte dei suoi responsabili, per anni e anni, è la causa del crollo; le autorità federali non hanno commesso errori, hanno però accumulato negligenze ad ogni livello. La FINMA, l’autorità di sorveglianza, non ha svolto come doveva il ruolo di controllore e regolatore. Le conclusioni cui si è giunti erano inevitabili e pratiche: occorrono regole severe e precise (ad esempio sull’entità o sull’aumento dei fondi propri per le banche cosiddette di importanza sistemica, affinché con le banche non crolli tutta l’economia), la FINMA deve poter applicare efficacemente le procedure previste. Deve cessare, aggiungono altri, la collusione dei partiti (borghesi) con la lobby bancaria (che li finanzia) che ha di fatto annacquato ogni regolazione efficace. Una realtà dimenticata e che andrebbe posta in luce è che siamo immersi nella “società della sfiducia”. O che la fiducia è “derrata in via di estinzione”, come ha scritto Kenneth Arrow (Nobel per l’economia). La fiducia è una forza discreta e misteriosa, un segno di fede nell’avvenire, un ingrediente indispensabile nella vita sociale; quando la fiducia irriga una comunità, la protegge anche dai tormenti. Senza fiducia non depositeremmo i risparmi in banca, non confideremmo il destino politico del Paese a degli eletti, non ci rivolgeremmo ai magistrati per ottenere giustizia, non andremmo dal medico per mantenerci in salute. Tanto per dire. Oggi l’impressione è che a cancellare quella fiducia siano vari fattori. L’assolutezza del “mercato” cui abbiamo assegnato ogni libertà, persino contro il lavoro, tanto che si definisce appunto l’intervento per tenerlo a bada “veleno burocratico”. La finanza spinta ad ogni scorreria per ottenere alto profitto, anche con la giustificazione che solo in tal modo si possono far rendere i capitali delle assicurazioni sociali (AVS, secondo pilastro) o ottenere entrate fiscali (e quindi guai a punire la ricchezza chiedendole il dovuto). La democrazia rappresentativa che, seguendo vie traverse o telecomandate dal potere economico-finanziario, rompe il rapporto di fiducia tra elettori e loro rappresentanti perché al bene si antepone troppo spesso quello di poche conventicole dominanti (e da qui l’astensionismo o il cancro dell’indifferenza politica). Si potrebbe concludere ricorrendo ancora ad Arrow, che definiva la fiducia “fondamentale istituzione invisibile” e aggiungeva: “Per ripristinare la fiducia occorre che l’esperienza quotidiana delle istituzioni non alimenti ingiustizie e risentimenti; la sfiducia è sentimento tossico e solo la vigilanza è atteggiamento positivo”. E sappiamo che solo con la attiva democratica presenza e partecipazione politica possiamo praticare la vigilanza. |