Quell'indispensabile "tocco femminile"

L'interesse per le popolazioni alpine non è nuovo: sin dall'età moderna i viaggiatori ne hanno, infatti, narrato. Basti pensare a De Saussure e alle sue descrizioni alle lavoratrici di Chamonix; oppure a De Amicis e alle sue donne del Biellese impegnate a trasportare materiale utile all'edilizia. Racconti – questi e molti altri – interessanti tuttavia narrati da "occhi esterni" dunque incapaci di cogliere fino in fondo la realtà di quelle donne, di andare oltre lo stereotipo della "donna di montagna". Per lungo tempo, infatti, il lavoro delle donne delle società di montagna è stato inserito in una precisa divisione sessuale del lavoro che attribuiva loro i ruoli e le attività più umili e meno valorizzati dal punto di vista sociale. Una descrizione che potrebbe far pensare alle montagne europee come agli ultimi lembi di arcaismo, a un mondo periferico e condannato al ritardo sociale e culturale. La realtà che scaturisce dalle ricerche storiche più recenti suggerisce invece conclusioni più sfumate. Anche nelle montagne, le donne hanno saputo partecipare in qualità di attrici di primo piano alla vita economica e sociale assicurandosi spazi di attività innovativi, che hanno favorito dei percorsi di emancipazione. Il convegno "I lavori delle donne nelle montagne europee", svoltosi qualche settimana fa a Mendrisio – organizzato dall'Università di Losanna, con il Laboratorio di Storia delle Alpi dell'Università della Svizzera italiana, l'Associazione Archivi Riuniti delle Donne Ticino ed il Laboratoire de Recherches historiques dell'Università di Grenoble – ha visto 25 specialisti della storia di genere e sociale ridare alle donne il valore reale che hanno avuto nella realtà, economica, sociale e culturale grazie ai lavori da esse svolti. Si è partiti dalle donne rimaste sole al paese mentre il marito emigra, confrontate a una solitudine più o meno lunga in cui «il ruolo della donna diventa fondamentale. È infatti lei che resta a casa e tiene "il fuoco acceso", mantiene i contatti con i membri della famiglia. (…) Al paese resta lei a presidiare i beni e a difendere gli interessi di casa», ha raccontato la prof.sa Marina Cavallera. Sono le donne «che diventano una sorta di motore immobile attorno al quale ruota tanto la vita quotidiana quanto la complessità delle problematiche determinata dalla lontananza degli uomini che pone anch'esse a contatto, direttamente o indirettamente, con realtà multiculturali estranee alla realtà locale. Si deve infatti ricordare che quando le attività degli uomini di casa li portano altrove per lavoro, è sempre alla donna che resta a casa che costoro continuano a fare capo, non solo per ragioni affettive e familiari, ma anche per questioni economiche e sociali». Dunque non solo donne del focolare ma donne attive, impegnate con il passare degli anni in ruoli sempre più diversi – come è stato illustrato nel convegno (vedi alcuni stralci nella scheda a lato) –. Moglie e mamma, poi contadina, manager degli affari di famiglia, operaia insegnante, intellettuale e scrittrice in grado di educare intere generazioni. Ma anche levatrice, balia o badante che emigrava o contrabbandiere. La donna non è stata solo così come l'abbiamo sino ad oggi sentita raccontare nei libri di storia, negli archivi o nei musei. Molto è stato scoperto, ma molto resta da fare. area ha incontrato la storica e ricercatrice presso l'Università di Losanna Nelly Valsangiacomo, tra le ideatrici del convegno.

Prof.sa Valsangiacomo, qual è il senso di un convegno come questo?
Lo scorso anno ad Aosta si era tenuto un primo convegno dedicato alle donne e la seconda guerra mondiale dove hanno iniziato a germogliare i semi che hanno poi dato vita a questo convegno di Mendrisio. Quest'anno, inoltre ricorrono gli 80 anni dalla prima Esposizione nazionale sul lavoro delle donne in Svizzera, la Saffa del 1928. Il convegno di Mendrisio è dunque anche un modo per rievocare quell'importante evento, nato dalla volontà di alcune associazioni femminili che si sono sviluppate tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, sotto l'egida dell'Alleanza delle società femminili svizzere.
Come s'inserì nella società di allora un simile avvenimento?
La Saffa è stata un avvenimento fondamentale che ha voluto far apparire per la prima volta la donna in uno spazio pubblico e valorizzare il lavoro che essa svolge. Un intento raggiunto, da un lato, perché la Saffa ha riscosso una grande successo – tanto è vero che fu ripetuta nel 1958 –; dall'altro perché ha permesso una presa di coscienza che ha poi dato vita a tutta una serie di commissioni e di laboratori ruotanti attorno al tema della donna. Detto questo, è tuttavia vero che nel '28 non vi è una vera distinzione tra "semplice" lavoro e mestiere, nel senso di professione: con la Saffa si cerca sì di valorizzare la donna all'interno della società ma sempre attraverso tutte le attività che compie, senza distinguere tra professioni e occupazioni domestiche sminuendone così in parte il ruolo. Inoltre, visto il periodo storico, la donna nella Saffa è in parte strumentalizzata e usata come mezzo di difesa identitaria nazionale.
Lei ha citato la Saffa del 1928 e quella del 1958. Cosa distingue questi due avvenimenti?
In un certo senso oserei dire che la Saffa del '28 è molto più all'avanguardia rispetto a quella successiva come mostra anche il volume "Donne ticinesi, rievocazioni", pubblicato all'epoca e che proprio quest'anno intendiamo riproporre in una versione assai simile all'originale (eccezion fatta per una introduzione di Nelly Valsangiacomo e una post-fazione di Anita Testa Mäder sul lavoro delle donne attualmente, ndr) per far capire l'importanza di questo testo che è un tassello della nostra storia, dotato dunque di un forte senso identitario che ci permette di comprendere nella sua integralità i meccanismi della società in cui viviamo oggi. Il libro è molto interessante perché – per la prima volta – sono le donne a parlare delle donne, della loro vita, delle loro occupazioni e lavori presentando aspetti per troppo tempo sconosciuti. Dalla lettura di questo libro traspare ad esempio la voglia delle donne ticinesi di partecipare alla Saffa proprio perché "sarebbe ingiusto non dimostrare la loro fatica, la loro forza di volontà, lo spirito di sacrificio, la resistenza fisica e morale, la saggezza e l'intelletto delle quali danno prova dirigendo sovente da sole la famiglia e l'azienda a tutto e tutti provvedendo con un senso di virile dominio" (Per la Saffa del '28 le donne ticinesi realizzarono anche un filmato per far capire meglio il loro lavoro. Un filmato purtroppo andato perduto ndr).
Diversa è la Saffa del '58 che s'inserisce molto bene nella società dei consumi in quanto utilizza la modernità per rinsaldare la tradizione; mi spiego: l'elettrodomestico presentato all'Esposizione non è un mezzo per far evolvere la posizione della donna ma semplicemente per cambiare il suo modo di fare la cucina…
Sul lavoro delle donne vi è ancora molto da scoprire. Il sospetto è che se ne sa ancora poco anche perché le donne, per prime, non hanno valorizzato il loro operato...
Vi sono diversi elementi che spiegano questo ritardo. Innanzitutto le fonti o parlano poco o non sono state interrogate. Secondariamente, le fonti – atti notarili, archivi ecc – devono essere interrogate in maniera diversa per far emergere aspetti fino ad oggi nascosti o velati. Il terzo elemento, sono le donne stesse che, inserite in un contesto culturale come il nostro, in cui sono considerate "inutili" o di poco interesse, tendono a non conservare il proprio materiale… Fortunatamente, al di là dei fondi di archivio e dei documenti privati progressivamente recuperati, la storia orale permette di ricostruire tasselli del passato e ridare il giusto valore alle donne nel mondo del lavoro, e allo sviluppo della storia femminile. Ora siamo già a buon punto ma sarà necessario ancora parecchio lavoro di ricerca e analisi che vada oltre quello che si tende a definire "storia militante".
Torniamo alle lavoratrici. Le donne della fabbrica hanno dimostrato di avere il sentimento di vivere una storia comune sviluppando anche una certa solidarietà. Possiamo dire lo stesso per le donne del '700 impegnate a gestire gli "affari" di famiglia mentre il marito è lontano?
Credo ci sia stata una certa solidarietà tra le donne di allora: alla fine si sono infatti spesso ritrovate a fare lavori in comune, nelle stalle, nei lavori serali… Le donne lasciate sole quando i mariti hanno cominciato ad emigrare per cercare lavoro o le donne che poi hanno cominciato loro stesse a partire hanno condiviso la propria situazione con le altre donne. Per motivi contingenti si sono create delle reti forti all'interno della comunità, dei legami che tendono a perdurare.
Questi legami tra donne possono essere considerati dei passi avanti verso la conquista dell'emancipazione?
In parte probabilmente sì. Leggendo scambi epistolari di allora, si cominciano tuttavia ad intravvedere alcune intuizioni, alcuni segnali di rivendicazioni, di prese di coscienza. Anche se la società di allora cercava di opprimerle...E anche se siamo ancora molto lontani dall'emancipazione come la intendiamo oggi e da una vera presa di coscienza, elementi relativamente nuovi. L'emancipazione è una costruzione sul lungo periodo, fatta di tanti piccoli elementi che poi porteranno  più avanti a rivendicazioni politiche.
Con gli anni le cose sono cambiate ma non risolte del tutto...
Per lungo tempo le donne sono state inserite in un contesto che non permetteva di mostrare quali fossero le loro potenzialità. Le donne sono state tralasciate dalla storiografia e abbandonate in un mondo altro, quello segnato unicamente dal "tempo naturale". Ciò ha portato a una non considerazione della donna e del suo lavoro. Fu una connotazione così forte che ancora oggi la ritroviamo nei discorsi di molte donne – "È naturale che sia così…" a discapito della valorizzazione del loro lavoro in tutti i settori sociali, politici, economici.
Ora la ricerca cerca di ridare il giusto peso e valore alle cose. Tuttavia sembra che la storia delle donne sia ancora una questione solo femminile, quasi ghettizzata. Le relatrici qui oggi sono quasi tutte donne...
Oggi sono prevalentemente donne, ma vi sono scuole di pensiero diverse: ci sono donne che vogliono che la storiografia femminile rimanga esclusivamente femminile; altre, invece, che considerano la storia delle donne come un elemento della storia generale e quindi inserito in un contesto aperto a tutti indistintamente. Quindi vi è già un "problema" all'origine ma che probabilmente sparirà (in parte sta già sparendo) col tempo: la storia delle donne in fondo ha appena vent'anni...

Pubblicato il

26.09.2008 01:00
Fabia Bottani