Quell'amianto senza confini

L'amianto osannato in passato per le sue qualità si è rivelato pericolosissimo per la salute di molti lavoratori. In Svizzera a farne le spese sono stati anche molti immigrati italiani. Un nuovo libro "Die Asbestlüge"(*) realizzato dalla giornalista Maria Roselli fa il punto di questa dolorosa e annosa vicenda. area l'ha avvicinata e le ha chiesto che cosa l'ha spinta a fare questa ricerca sull'amianto, durata ben sei anni?
Scrivendo alcuni articoli sull'amianto ho conosciuto persone che hanno sofferto duramente a causa dei danni provocati dalle polveri di questo metallo. A Casale Monferrato vive una donna che ha perso il marito, la sorella, il nipote, la cugina e alla fine anche la figlia. Col tempo ho capito che questa tragedia andava documentata come non era mai stato fatto prima in Svizzera. Volevo per una volta raccontare la storia di chi ha sofferto.
Tra di loro vi è un'italiana del nord e una donna della Bielorussia; un sindacalista sudafricano e una glaronese. Come è giunta a tutte queste persone?
Quando ho cominciato ad occuparmi dell'Eternit ho capito che si trattava di un`impresa elvetica che aveva ramificazioni in tutto il mondo. Ho voluto capire come era la situazione nei vari paesi. Così ho contattato e comunicato con persone in Brasile, in Nicaragua e in Sudafrica, in Sicilia, in Campania, nelle Puglie, in Piemonte e naturalmente in Europa. Era gente che aveva lavorato nelle fabbriche, ma anche gente che semplicemente viveva nei pressi degli stabilimenti o aveva genitori che vi avevano lavorato.
Tra le varie tappe di questo "pellegrinaggio" c'è anche Riga.
A Riga, in Lettonia, vive una donna che durante la Guerra è stata deportata a Berlino e costretta ai lavori forzati in una fabbrica che apparteneva anche alla famiglia Schmidheiny. L'ho poi rincontrata a Berlino dove insieme abbiamo visitato i locali della vecchia fabbrica. È stato un momento molto commovente. 
Da oltre un secolo si sa che l'amianto è pericoloso. Perché ci è voluto così tanto tempo prima che le imprese si decidessero a proteggere meglio i lavoratori ?
Prima di tutto va detto che un secolo fa non si dava molta importanza alla protezione dei lavoratori come avviene adesso. Dopo gli anni Sessanta e Settanta, c'era più consapevolezza sulla perniciosità di questo minerale. Per difendersi da chi cominciava a dimostrare la nocività di questo prodotto, le imprese del settore hanno sfornato ricerche che confutavano i risultati contenuti in altri studi. La lobby dell'amianto alla fine degli anni '70 ha poi fatto sempre pressione sulle autorità affinché non classificassero i prodotti come velenosi. Le autorità dal canto loro hanno per varie ragioni impiegato anni per fare tutti gli accertamenti. E quindi il divieto è entrato in vigore in Svizzera solo a partire dagli anni '90.
Forse si agiva così lentamente perché in Svizzera non erano ancora noti molti casi di cancri da amianto?
Il 90 per cento dell'amianto importato in Svizzera finiva all'Eternit. Qui lavoravano tantissimi immigrati italiani, che sono rientrati nel paese d'origine. Non figuravano e non figurano nell'elenco delle vittime. A Casale Monferrato i dossier sui casi risalgono già agli anni '70, quando il fenomeno era diventato un caso politico. Come ho costatato parlando con la gente sul posto, a Niederurnen (Gl), dove aveva sede l'Eternit, non c'era questa consapevolezza. Il dolore di ogni famiglia era un fatto privato. Allora i casi di mesotelioma registrati erano pochissimi. Oggi la diagnostica è molto più precisa e quindi si può capire se vi è un rapporto di causa effetto. Va detto poi che ancora oggi in Svizzera è difficilissimo dimostrare che un cancro ai polmoni è dovuto all'amianto e non al fumo.
La Suva ha la sua parte di responsabilità in tutto questo ?
La Suva, a mio modo di vedere, ha una grossa responsabilità: spettava a lei accorgersi dello stillicidio che era in atto in questi posti di lavoro. Le vittime sono consapevoli che  non ha fatto i controlli che avrebbe dovuto e sino al 1985, a differenza dei sindacati, si era dichiarata contraria all'obbligo di annunciare lavori di risanamento. Non ci sono stati quindi controlli e le persone adesso non riescono a dimostrare la loro esposizione. In caso di cancro ai polmoni, la Suva per riconoscerlo richiede che la vittima dimostri di essere stata esposto a 25 anni fibre, che è un'unità di misura. Molta gente non sapeva nemmeno di lavorare l'amianto e allora adesso non può dimostrare di esserne vittima. Ci sono state lacune anche nella prevenzione. Dal libro traspare chiaramente che i lavoratori non erano sufficientemente informati e a pagarne sono stati anche i familiari. Ad esempio nel libro riporto il caso di una mamma che allattava il bimbo con i vestiti sporchi di questa polvere pericolosa. Si può ritenere che le imprese conoscessero da tempo la perniciosità del prodotto, ma non abbiano sufficientemente informato i dipendenti. In Svizzera si comincia a farlo veramente quando l'impresa passa nelle mani dei figli di Schmidheiny. Sono loro che annunciano la rinuncia all'amianto.
C'era ovunque la stessa informazione?
Un sindacalista sudafricano mi ha spiegato che da loro l'informazione consisteva nel dire più o meno questo "State attenti al vostro lavoro: se non vi comportate come vi diciamo "Mister fibra" si trasforma in un drago cattivo e vi fa del male". Il sindacalista era scandalizzato: si sentiva trattato come un bambino.  In Svizzera si sono fatti vari volantini dove si invitava a non scopare, ma ad usare l'aspirapolvere, ma anche a non pulire le tute con l'aria compressa. Poi nei posti più esposti si sono usate maschere protettive, ma prima molti per anni avevano lavorato senza. Ho conosciuto in Puglia un operaio che aveva a sue spese acquistato delle maschere perché la polvere gli creava troppi problemi respiratori.
Perché alla fine si è optato per l'abbandono?
Ci sono state varie ragioni. Negli Stati Uniti arrivano notizie di cause perse miliardarie per risarcire le vittime di questa polvere. La gente inoltre cominciava ad essere più sensibile ai temi ecologici e ambientali e quindi si interessava ai disastri provocati dalle industrie. Infine, vi era una crescente pressione da parte dei sindacati. Non avanzavano più solo rivendicazioni salariali, ma chiedevano anche più sicurezza. In Svizzera c'è stata la campagna portata avanti da Vasco Pedrina per conto dell'Unione sindacale svizzera per l'abbandono dell'amianto.
Qualche Paese si è comportato meglio di altri?
Il paese che viene portato ad esempio è la Svezia che già nel 1975 ha bandito in parte l'amianto e ha reagito quindi prima di altri. Gli altri paesi lo hanno fatto più o meno contemporaneamente e tutti hanno dovuto fare i conti con le pressioni della lobby dell'amianto che agiva su scala internazionale. È dimostrato che l'abbandono in Svizzera era un riflesso dell'analoga decisione presa in Germania, dopo che si era capito quanto stava succedendo. In Svizzera l'abbandono arriva nel '90 per l'edilizia e nel '94 per le tubature. Le lobby sono quindi riuscire ad imporre le loro date per l'abbandono.
La fine della produzione non significa però la fine dei prodotti.
È questo il grosso problema. La vera tragedia è che le tonnellate di amianto lavorate in Svizzera (erano anche 25mila l'anno) sono ancora in gran parte negli edifici costruiti allora. A Zurigo, per esempio, il 50 per cento dei pannelli elettrici che ci sono nelle case private è di cartone-amianto, che è più pericoloso del cemento-amianto. In passato vi erano circa 3mila prodotti che lo contenevano. Si andava dall'asse del ferro da stiro al ferro da stiro stesso, dall'asciugacapelli, al tostapane, dai tasti del telefono ai dentifrici e ai filtri.
Dove finiscono queste tonnellate? Nelle discariche?
Se non vengono trattati in modo adeguato questi materiali di scarto sono un pericolo per chi li lavora e per chi abita vicino alle discariche. L'anno scorso la Svizzera ha vietato l'importazione di questo materiale dall'Italia.
Quanta gente muore oggi per amianto?
Si stimano ogni anno tra 100-140mila vittime in tutto il mondo. Va ricordato che oggi l'amianto è vietato solo nel 23 per cento dei paesi che fanno parte dell'Organizzazione mondiale della sanità. Altrove è possibile lavorarlo: ciò avviene per esempio in Brasile, nei paesi emergenti dell'Est, come in Russia e in Cina, ma anche in India. Il Canada è la roccaforte della lobby mondiale dell'amianto, che esporta questa materia prima. Quindi molto resta ancora da fare.
Adesso molti giudici, penso in particolare al procuratore di Torino Raffaele Guariniello, si stanno occupando di questo problema. Le vittime hanno imparato a difendersi meglio?
Mentre il mondo ufficiale cerca di stendere un velo su questo dossier e di salvare il salvabile, le vittime in Svizzera hanno ritrovato una coscienza e una forza che un tempo non avevano. Hanno inoltrato diverse denunce che sono pendenti contro 4 imprese elvetiche. In Svizzera però c'è una legge sulla responsabilità delle imprese, secondo la quale la possibilità di far causa si estingue dopo 10 anni, mentre un cancro ai polmoni o della pleura ci mette 20-30 anni a manifestarsi. Un operaio quindi non può difendersi perché c'è stata prescrizione. Su pressione delle due associazioni delle vittime dell'amianto la commissione competente del Nazionale ha inoltrato una mozione al Consiglio federale chiedendo una revisione dei tempi di prescrizione per le malattie del lavoro estendendolo a 50 anni. Poco prima di Natale il Consiglio federale l'ha accettata. Ci sarà quindi una revisione di legge.
In Italia è più facile?
I termini di prescrizione sono più lunghi e sono già state emesse sentenze di condanna per esempio per l'impianto che si trova in Sicilia.
Lei ha conosciute tante vittime. Che sentimento provano quando scoprono quello che è successo loro?
All'inizio non credevano che fosse possibile che l'impresa sapesse e non avesse fatto quello che doveva. Col tempo però la gente ha preso coscienza della situazione e il loro stupore adesso si è trasformato in rabbia e voglia di riscatto e di giustizia.
C'è qualcuno che avrebbe voluto, ma non ha potuto intervistare?
Forse se avessi intervistato sin dall'inizio il signor Stephan Schmidheiny, non avrei mai scritto il mio libro. Il fatto di non aver mai avuto la possibilità di parlargli ed avere risposte, ha scatenato in me una curiosità che mi ha portato fino alla realizzazione di questa storia.


(*) Il libro "Die Asbestlüge – Geschichte und Gegenwart einer Industriekatastrophe" di Maria Rosselli è edito da Rotpunktverlag. Attualmente è in preparazione una traduzione in francese e sono stati avviati contatti per una versione in italiano.

Pubblicato il

22.02.2008 01:00
Anna Luisa Ferro Mäder
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