Quel razzismo “made in Italy”

Mio padre, nel 1948, fu costretto ad emigrare in Svizzera e da solo, pur avendo famiglia, a causa delle leggi restrittive elvetiche di quel periodo in materia di immigrazione. Mia madre lo poté, poi, raggiungere solo dopo 4 anni ed io – cresciuto con i nonni – arrivai in Svizzera da adulto nel 1970 nel pieno delle ricorrenti campagne referendarie xenofobe lanciate dalla destra che, già in quegli anni, intendevano espellere gli stranieri dalla Confederazione obbligando, da un lato la rete diplomatico-consolare e, dall’altro, gli stessi patronati italiani presenti in Svizzera – come l’ Ital Uil – a triplicare i loro sforzi per difendere i diritti sociali e previdenziali dei nostri lavoratori.


Questa premessa per portare una testimonianza personale e familiare nonché professionale, prima nel patronato e poi nell’Unione degli Italiani nel Mondo (Uim), della xenofobia che abbiamo conosciuto in quegli anni noi emigrati, quando in Svizzera straniero era sinonimo di italiano, ed alla porta di qualche ristorante veniva appeso un cartello con l’avviso “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”, oppure non si affittavano gli appartamenti agli italiani. Parallelamente – sempre in quegli stessi anni – in Italia si criticava aspramente la xenofobia elvetica (come quella di altri paesi) nei confronti di noi emigrati italiani. Adesso in Italia basta frequentare posti affollati, perfino soffermarsi sul sagrato di una chiesa (sic!) prima o dopo una funzione religiosa, per sentirne di tutti i colori contro gli immigrati nostrani. Oppure scoprire come sia ormai diffuso il razzismo tra la gente in Italia leggendo nei quotidiani italiani articoli di cronaca con titoli del tipo “Non mi hanno fatto lavorare perché sono nera” o “Rimini, donna incinta rapinata, picchiata e insultata perché nera”, oppure “Hotel rifiuta cameriere italiano perché è di colore”.


Un razzismo, anche becero – strumentalizzato dalle destre, come avveniva a suo tempo ed ancora oggi in Svizzera sia pure in forme più sottili – che mai avremmo potuto immaginare si radicasse così fortemente in Italia, tanto che noi “svizzeri” dobbiamo oggi ricrederci sulla xenofobia degli elvetici nei nostri confronti.
Detto questo, è peraltro innegabile il fastidio percepito in Italia da tutti, anche da noi emigrati, di veder bighellonare o elemosinare i nostri immigrati nei parcheggi dei supermercati e per le strade o, tutt’al più, offrire con insistenza mercanzia povera di vario genere, molto spesso contraffatta. Ma di tutto questo la colpa è certamente dello Stato italiano e non di questi poveri cristi in fuga dai loro paesi per cercare la loro “Merica” in Italia e in Europa: quella “Merica” che, negli ultimi 150 anni, milioni e milioni di italiani hanno cercato in giro per il mondo, molto spesso invano. Proprio per questa nostra storia – peraltro tuttora attuale, visto che siamo ancora circa cinque milioni di italiani emigrati – in Italia non dovremmo assolutamente permetterci, oggi, qualsiasi forma di razzismo. Anzi dovremmo vergognarcene!

Pubblicato il

31.08.2017 14:13
Dino Nardi