Quel ramo del lago di Como...

Quel ramo del lago di Como che dà l'avvio ai Promessi sposi (lettura ormai sconosciuta alla maggioranza dei ticinesi) io me lo trovo quotidianamente davanti agli occhi quando trascorro qualche giorno di vacanza a San Martino, una frazione situata dopo Menaggio, a metà montagna. E così ne posso cogliere direttamente le trasformazioni che stanno investendo in questi anni con una rapidità impressionante tutta l'area del lago. Attorno ai borghi rivieraschi è tutto un fiorire di gru che annunciano case a schiera e condomini e autorimesse con rampe di accesso devastanti nel corpo delle pendici della montagna. Le strade che nel secondo dopoguerra raggiunsero le frazioni per sostituire le antiche mulattiere, bellissime e faticosissime, vengono ora prolungate ovunque in direzione dei monti e si promuovono a furor di popolo collegamenti orizzontali in quota. Sui monti di bestie non ve ne sono quasi più e le vecchie cascine diventano seconde case della gente del luogo. È un continuo andirivieni di motociclette, quattrotrazioni, furgoni, che trasportano bambini grassocci, nonne nostalgiche di quando lassù si andava con la gerla, provviste, sacchi di cemento, pannelli solari, cani da caccia. Le case delle frazioni più alte, con tre o  quattro piani di pietra, sono chiuse o sono state comperate dai  tedeschi di Germania che le  trasformano volentieri per le vacanze: qualche volta discretamente, spesso male. Al posto dei minuscoli splendidi orti in pendenza, dove un tempo crescevano verze famose, fagioli, rape, zucchine lunghe un metro e diversissimi alberi da frutta, ogni tanto appare una piscina sterile ed arrogante. Fa male soprattutto vedere l'abuso dell'acqua, un'acqua freschissima ed abbondante che sgorga in cento fontane fin sugli alpeggi più alti. Intanto questi fanno le piscine, fin che un giorno le fontane saranno asciutte e bisognerà pompare l'acqua dal lago che, oltretutto, si sta continuamente abbassando a causa della siccità ormai cronica e dei prelievi sconsiderati. A San Martino un tempo c'erano cento abitanti e cento capi di bestiame. Poi molti presero la strada della Svizzera; da Porlezza: un'ora e mezzo il mattino e un'ora e mezzo la sera, col tempo buono. Dopo cena un po' di televisione e poi il sonno, sfiniti, sul divano della cucina. Per duecentocinquanta giorni all'anno. Oggi a San Martino vivono nove vecchi, ossessionati dai cinghiali che "rugan su" dappertutto anche se gli orti sono ormai quasi tutti incolti. Completamente disorientati, quando è il caso votano Lega.
Intanto il bosco sale, sale, occupa gli antichi prati e i terrazzamenti. I muri di sostegno crollano, i sentieroni scompaiono sotto le foglie secche e la terra che frana. La natura riconquista in parte quello che le era stato sottratto. L'antico è morto ed il nuovo cresce male e a dismisura. Non ha però nessun senso pensare che forse qualcosa tornerà come prima, perché come prima non tornerà probabilmente nulla. Sarebbe meglio riuscire a progettare un po' di futuro. Ma dobbiamo confessare che non ne siamo molto capaci. In fondo consumiamo sempre più territorio senza produrre nuovi elementi vitali. Ogni tanto appare però qualche lampo di luce. Camminando su quei monti entrammo un giorno in una baita ben tenuta. La porta era aperta, su un tavolo erano sparsi alcuni libri, italiani, tedeschi, inglesi. Un cartello avvertiva che quei libri non erano abbandonati ma che stavano semplicemente "viaggiando" ed erano a disposizione  di tutti.  Ognuno era libero di prenderne uno, di darlo ad altri oppure di lasciarlo in altri luoghi pubblici, magari a Milano, o ad Hannover o in Svizzera. E se del caso a distribuirne dei suoi. Lettura quindi e cultura non come proprietà materiale ma come pratica di uso collettivo, economico, moralmente impegnata a restituire. Erano solo dei libri usati ma perché il principio non dovrebbe potersi allargare ? Con l'uso collettivo della terra e dei beni, restituendo alla natura il maltolto e riconoscendo a talune ricchezze come l'acqua, le piante, i monumenti, le strade antiche e nuove, le seconde case lo statuto di beni per tutti, da godere secondo un diritto d'usufrutto e non di proprietà dispotica. In fondo alcuni vecchi fondamenti del socialismo, anche se non più di moda, ci potrebbero ancora aiutare.

Pubblicato il

25.01.2008 13:00
Tita Carloni