Settemila uomini, donne e bambini sono affogati negli ultimi dieci anni nel tratto di mare che divide il Nordafrica e il Medio Oriente dalle coste siciliane. In realtà, sono molte di più le vittime di fame, guerre, dittature che giacciono in fondo al Mediterraneo, talvolta riemergono e i cadaveri sono raccolti dalle motovedette italiane, o finiscono nelle reti dei pescatori di Lampedusa. A centinaia i corpi senza nome, finiti in mare per l’affondamento dei barconi della morte già a poche miglia da Tripoli o da Bengasi, vengono rigettati dalle onde sulle spiagge libiche dove impazza la guerra civile e nessuno ha tempo e voglia di raccoglierli. Sono arabi, centrafricani, siriani che avevano investito tutto nel tentativo di raggiungere la terra promessa, l'Europa, lasciandosi alle spalle l’orrore. Questi poveracci, abbandonati da tutti i paesi “civili” al loro destino, finiscono nelle mani dei moderni negrieri. Chi riesce ad arrivare sano e salvo sulla riva “nobile” del Mediterraneo viene accolto con umanità dalle popolazioni rivierasche, ma per i governi è un clandestino. L’Italia ha un'unica ragione nelle sue rivendicazioni verso l’Unione europea: questa fuga biblica attraverso il deserto e il mare, è un problema che riguarda l’intero continente, non solo Roma. Chi arriva considera l’Italia un paese di transito verso il nord, avrebbe diritto a un’accoglienza civile, all’assistenza, spesso all’asilo politico. Insomma a un futuro. Sono uomini, donne, bambini, neonati e nascituri che hanno superato guerre, schiavitù, insidie, prigionie, trovando addirittura più umanità tra gli schiavisti che non nelle maglie delle egoistiche burocrazie europee. Nel semestre di presidenza italiana dell’Ue, il governo Renzi neanche un obiettivo umanitario nei confronti dei migranti è riuscito per ora a centrare. Altre sono le priorità: riduzione del welfare, abbattimento del debito e pareggio di bilancio, controriforme e privatizzazioni, fiscal compact. La Fortezza Europa è troppo impegnata a spremere i suoi popoli per occuparsi di garantire assistenza agli “stranieri”, che vorrebbe dire investire in risorse e politiche solidali. È un problema italiano, greco, maltese, al massimo francese e spagnolo, affari loro. Egoismi e paure. Paura che le sciagurate politiche estere Ue e Usa si ritorcano contro chi le ha agite: chi ci garantisce che tra i naufraghi non ci siano integralisti islamici pronti a portare la guerra santa a Berlino, Parigi, Roma, Londra, Madrid? Certo è che l’esodo biblico l’abbiamo provocato noi europei a rimorchio degli Stati Uniti. Trascurando il passato remoto e il colonialismo, basta interrogarsi sui danni fatti in Afghanistan dove gli Usa hanno allevato i talebani e Bin Laden contro i sovietici per poi ritrovarseli a Ground Zero, o nella guerra Iran-Iraq con alleanze a geometrie variabili con Saddam (a quei tempi l’Italia vendeva terribili sistemi d’arma tanto a Baghdad quanto a Teheran, e mine antiuomo a tutte le parti in guerra a Kabul, prodotte da un'azienda Fiat). Poi, i baci di Berlusconi a Gheddafi che ricambiava l’amicizia costruendo lager per fermare i migranti nel deserto, finché il Colonnello non è stato bombardato su mandato francese, consegnando la Libia a dei carnefici addirittura peggiori, animati dal sacro fuoco islamico. Ora Libia, mezzo Iraq e mezza Siria sono nelle mani di califfi e sub califfi. In Siria, solo all’ultimo momento utile Putin era riuscito a fermare le bombe Usa contro un dittatore che oggi sta per diventare suo alleato, magari insieme all’ex nemico di Teheran. Potremmo parlare di Mubarak, o della perenne polveriera del Medioriente, la questione palestinese e i massacri dell’alleato israeliano nel carcere a cielo aperto di Gaza. L’Occidente, inebriato dal profumo del petrolio, ha fomentato odi e guerre, sbagliato interlocutori e politiche e ora teme l’invasione di popoli spogliati di tutto, a partire dalla dignità. E si prepara a rifornire di armi quei kurdi che in Iraq si sono fatti Stato e che il bastione meridionale della Nato, la Turchia, combatte chiamandoli terroristi. |