Quattro pilastri traballanti

Nel settembre 2003 il dibattito era stato preceduto da una vasta inchiesta ticinese che aveva portato alla chiusura di tutti i canapai e da una serie di operazioni di polizia a Ginevra e Friburgo. Nel giugno 2004 la storia si ripete: lunedì il Consiglio nazionale affronterà per la seconda volta la questione della depenalizzazione del consumo di droghe leggere e sul dibattito peserà la recente scoperta di diverse piantagioni di marjuana nella Val de Travers (Canton Neuchâtel). Vogliamo credere che si tratti di casualità e che le autorità giudiziarie di questo paese non utilizzino il loro potere per influenzare le scelte politiche. In ogni caso, la revisione della legge federale sugli stupefacenti torna sui banchi del Nazionale in un frangente poco favorevole. Il rischio che la maggioranza confermi la volontà di non entrare in materia è alto e la posta in gioco pure: un progetto maturato sull’arco di dieci anni verrebbe affossato definitivamente e la sin qui coraggiosa politica svizzera della droga farebbe un passo indietro di trent’anni. Rifiutarsi di depenalizzare il consumo di cannabis significherebbe criminalizzare almeno mezzo milione di persone e mettere in difficoltà le forze di polizia cantonali, che si sentirebbero (ri)chiamate a far rispettare una legge che non è lo più da anni. Rifiutarsi di discuterne è ancora peggio, perché il testo in discussione è anche la traduzione in legge di un coraggioso percorso iniziato dalla Svizzera alla fine degli anni Ottanta e detto “politica dei quattro pilastri”. Erano i tempi delle scene aperte, delle siringhe nei giardini degli asili di Zurigo, del degrado di interi quartieri, del mercato della droga a cielo aperto e dell’aids che si diffondeva in modo impressionante. Di fronte alla drammatica situazione, Cantoni e Comuni reagirono in modo pragmatico proponendo soluzioni mirate (chiusura delle scene aperte, distribuzione di siringhe, programmi di aiuto per tossicodipendenti, creazioni di luoghi dove bucarsi in condizioni igieniche ideali, eccetera). Nel 1991 il Consiglio federale (preoccupato anche per le ricadute sulla piazza finanziaria che potevano provocare certe immagini che venivano diffuse attraverso i circuiti televisivi internazionali) rafforzò il suo impegno nel campo della ricerca avviando la sperimentazione della distribuzione controllata di eroina. Con questo atto nacque ufficialmente il nuovo modello di lotta alla droga (detto appunto “dei quattro pilastri”), incentrato sulla prevenzione, la terapia, la riduzione del danno (diminuzione dei rischi e aiuto alla sopravvivenza per le persone assuefatte) e repressione. Basta un dato a dimostrare quanto fu azzeccata quella scelta, che oggi viene applaudita anche da tanti Paesi che negli anni passati non avevano risparmiato critiche alla Svizzera: in un decennio i morti per droga sono scesi da circa 400 all’anno a meno di cento. E c’è di più: la qualità di vita dei tossicomani incalliti è migliorata, i casi di infezioni Hiv sono calati, la delinquenza legata al mondo della droga si è ridotta all’osso e le scene aperte sono sparite. Eppure oggi c’è chi vorrebbe gettare alle ortiche una legge che benedice questa politica e che corregge un errore commesso all’inizio degli anni Settanta, quando il legislatore decise la punibilità del consumo di droga, nell’illusione che attraverso l’arresto dei consumatori si sarebbe giunti all’individuazione dei pesci grossi dello spaccio. Di fronte al fallimento di questa politica (che nessuno contesta), è chiaro che la criminalizzazione del consumo, già di per sè contraria a ogni principio del diritto penale, è totalmente inefficace. Essa è addirittura un ostacolo ad un approccio di terapia e prevenzione precoce e non è credibile, visto che la società tollera ed anzi incoraggia l’uso di medicamenti, alcol e tabacco, che sono ben più pericolosi della canapa indiana. Ora i parlamentari possono scegliere tra lo status quo e una legge che regolamenta in modo severo la produzione, la vendita e il consumo di canapa. La prima soluzione viene suggerita loro con insistenza dai vescovi svizzeri, da organizzazioni di fanatici conservatori come “Gioventù senza droga” o “Genitori contro la droga” e da magistrati d’assalto come il ticinese Antonio Perugini, che si vanta di aver fatto chiudere tutti i canapai ma non dice che molti giovanissimi ex consumatori di canapa sono passati alla cocaina, diventata più facile da trovare. Per l’entrata in materia si sono invece recentemente pronunciati le organizzazioni giovanili del partito radicale e di quello democristiano, ma anche la Federazione svizzera dei funzionari di polizia e il Consigliere di stato basilese Jörg Schild, venuto a Berna giovedì per spiegare le ragioni di un governo che sa guardare in faccia alla realtà. Se lunedì trionferà il buon senso, la Svizzera confermerà la sua tradizione in questo campo. Se ad avere la meglio sarà invece l’ipocrisia, faranno salti di gioia gli spacciatori!

Pubblicato il

11.06.2004 02:30
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