Quanti interessi sulle pensioni

Fatta la legge trovato l'inganno dice il proverbio. Le revisioni della Legge sulla previdenza professionale (Lpp) e delle sue ordinanze sono relativamente giovani. È soprattutto a partire dalla metà degli anni Novanta, in seguito a diversi scandali e creste che si protraevano da tempo sul secondo pilastro degli affiliati, che il governo ha deciso di regolamentare meglio la parte di previdenza professionale obbligatoria. Ma se da una parte esistono delle regole, dall'altra c'è un mercato che il legislatore ha deciso di lasciare nelle mani della potente lobby assicurativa e bancaria. A pagina 3 area documenta per la prima volta un fenomeno allarmante: quello dei lavoratori che hanno due polizze di previdenza professionale. Offrono le medesime prestazioni, ma il capitale è remunerato in maniera molto differente. L'inghippo si presenta solitamente nel momento in cui vi è la cessazione di un rapporto di lavoro. In questo caso la legge prevede che il secondo pilastro sia mantenuto nella forma del "libero passaggio", in attesa cioè di essere ricollocato presso la cassa pensione del futuro datore di lavoro. Al lavoratore spetta la decisione di scegliere in quale forma ammissibile il capitale può essere "posteggiato". In questo frangente i grossi assicuratori offrono fra le diverse possibilità – ma curiosamente solo a partire da una certa consistenza del capitale – anche una polizza remunerata al massimo all'1,5 per cento. Il tasso di interesse qui è lasciato al mercato. Ma il mercato è imbrigliato da pochi e grossi assicuratori, e qui la Commissione della concorrenza avrebbe il suo bel da fare. Succede così che parecchi affiliati restino legati per anni a queste polizze nonostante che la legge dica espressamente che il secondo pilastro deve essere girato alla nuova cassa pensione, dove otterrebbe il tasso di interesse minimo legale (attualmente al 2,5 per cento). Anni in cui il capitale cresce molto più lentamente, con perdite in interesse composto molto consistenti.
L'assicuratore non sa (o non vuol sapere), non si pone domande: che cosa dovrebbe spingerlo a richiamare l'attenzione dell'assicurato? È meglio disporre di un capitale che con una mano si può remunerare all'1,5 per cento e con l'altra farlo fruttare – ad esempio – con un semplice credito ipotecario al 3 per cento, oppure di un altro legato al minimo legale? La risposta è molto semplice. Agli assicuratori l'ignoranza degli affiliati paga.
Ma chi è preposto al controllo, chi vigila sul capitale di vecchiaia dei lavoratori in questi casi? Chi si premura che il loro secondo pilastro sia preservato al meglio? Una domanda che, nonostante le nostre insistenze, non ha trovato risposta. Un funzionario di Berna particolarmente attento al tema ci ha fatto notare che la Legge federale sul libero passaggio è costellata da "deve" quando si parla dell'assicurato e "può" quando si parla dell'assicuratore. Sostanzialmente la legge dice che è il singolo assicurato ad essere responsabile dei propri averi, gli assicuratori sono assolti.

Pubblicato il

16.11.2007 00:30
Can Tutumlu