Occorre fare luce sulle procedure di rilascio dei visti turistici da parte dell'Ufficio federale delle migrazioni. È questa la richiesta della deputata Marina Carobbio avanzata tramite un'interrogazione al Consiglio federale poco più di dieci giorni fa e di cui area ha riferito nello scorso numero. Secondo Marina Carobbio ci sarebbero infatti diversi "punti oscuri" volti a celare un trattamento discriminante nei confronti delle persone richiedenti un visto turistico provenienti da paesi non membri dell'Unione europea e, in particolare, nei confronti di persone provenienti da paesi "socioeconomicamente inferiori alla Svizzera", di persone senza un lavoro o ancora senza legami famigliari o personali stabili nel proprio paese. Una tesi, quella della deputata ticinese, fondata su diversi casi concreti (come quello che riportiamo fra alcune righe), tra i quali quello allegato alla sua recente interrogazione a prova di come certi rifiuti siano poco chiari. Rifiuti che sembrano conformi ad "istruzioni segrete" elaborate dall'Ufm piuttosto che alla Legge federale sulla dimora e il domicilio degli stranieri (Ldds) e alla relativa Ordinanza concernente l'entrata e la notificazione degli stranieri (Oens). Istruzioni nate dopo l'arrivo di Blocher in governo...
Ecco un esempio di risposta ricevuta da un richiedente dell'ex Jugoslavia: "L'istanza non può essere considerata sufficientemente assicurata tenuto conto della situazione socioeconomica che prevale [nel Paese del richiedente che ha chiesto il visto d'entrata per la Svizzera, ndr]. In effetti, viste le disparità economiche tra [il suo Paese, ndr] e la Svizzera, non si può escludere che, una volta giunta nel nostro Paese, [il richiedente, ndr] non tenti di rimanervi durevolmente, con la speranza di trovarvi una sistemazione migliore di quella che conosce nel suo Paese d'origine. Il fatto che [il richiedente, ndr] sia già venuto in Svizzera in passato non è decisivo in quanto ora ha portato a termine gli studi e si trova disoccupato in Patria. Siffatte considerazioni potrebbero costituire un ulteriore motivo di voler prolungare il soggiorno in Svizzera". E come se non bastasse, oltre a non ricevere il visto di entrata per motivi discutibili, la persona non ha nessun diritto di riscuotere i 55 franchi pagati alle rappresentanze elvetiche nell'intento di ottenere in cambio il visto di entrata in Svizzera. Beffati due volte, insomma. Ma c'è di più. Marina Carobbio, nella sua interpellanza, segnalava che le "istruzioni" utilizzate dall'Ufficio federale delle migrazioni sono protette da una parola chiave dunque accessibili soltanto agli addetti ai lavori ma non a chi è interessato a richiedere un visto d'ingresso turistico. Ebbene, qualche giorno dopo l'inoltro dell'interpellanza, come per magia, l'accesso protetto è stato eliminato permettendo a chiunque di leggere le regole del gioco (anche se resta il dubbio che ve ne siano altre ancor più segrete) dell'Ufm. Sarà un caso? Per saperne di più su queste procedure fino a poco fa segrete e sulla loro alquanto sospetta apparizione pubblica abbiamo interpellato dell'Ufficio federale della migrazione. A fatica, dopo tre giorni e purtroppo solo via email, ci ha risposto la signora Brigitte Hauser-Süess responsabile della comunicazione dell'Ufm.

Per regolamentare la richiesta di un visto turistico per un cittadino proveniente da un paese non membro dell'Unione europea oltre alla legge l'Ufficio federale della migrazione ha introdotto delle «direttive supplementari». Perché fino a qualche giorno fa erano protette da una parola chiave?
È vero che nell'ambito dei visti vi sono delle direttive sotto forma elettronica su internet. Queste direttive sono suddivise in tre parti (a, b e c). Quelle "liberamente consultabili" contenute nella prima parte, rivolta ai rappresentanti svizzeri all'estero e ai posti di frontiera, indicano gli aspetti generali e le regole fondamentali per la procedura in materia di visto. Le parti b e c – protette da una parola chiave da quando esiste una versione elettronica! – contengono le istruzioni "tecniche", le basi pratiche di lavoro per i rappresentanti svizzeri all'estero (b) e per i responsabili dei posti di frontiera (c). Queste direttive interne non eccedono i limiti posti dalle basi legali che regolano la materia, cioè l'Ordinanza del 14 gennaio 1998 concernente l'entrata e la notificazione degli stranieri, Oens, e la parte A delle direttive.
Una decina di giorni fa la deputata Marina Carobbio ha presentato un'interrogazione per meglio capire queste procedure "segrete". Dopo qualche giorno, le istruzioni segrete fanno la loro comparsa pubblica su internet. Un caso?
Questa affermazione ci risulta incomprensibile. Le parti B e C sono, come già detto, ancora oggi protette da una parola chiave.
Nelle prime righe delle "direttive dell'Ufm" si legge che tra gli obiettivi del documento vi è la volontà di rispettare il principio della parità di trattamento. Tutti sono trattati allo stesso modo?
Sì, il principio generale di diritto amministrativo della parità di trattamento vale naturalmente anche nella procedura di rilascio del visto.
Qualche riga più sotto, nel documento, si legge anche che è necessario evitare che «un'applicazione troppo rigida si trasformi in formalismo eccessivo». Cioè?
Ogni domanda di visto deve essere analizzata singolarmente, caso per caso. Ogni procedura per l'ottenimento di un visto implica un "controllo preliminare". La procedura permette, previo verifiche a livello di comunità locali (Comuni e cantoni, ndr) di sapere se le condizioni richieste per il visto sono rispettate. Il margine di apprezzamento lasciato alle autorità competenti per il rilascio del visto permette loro di decidere in maniera adeguata su ogni singolo caso.
E si legge anche quanto segue: «le decisioni prese dipendono abbondantemente dal potere di valutazione lasciato ai rappresentanti svizzeri all'estero e alle dogane». C'è dunque un margine di manovra? Ciò non è contrario alla parità di trattamento?
Noi partiamo dal principio che il personale in materia di visto applica la procedura in modo competente e in buona fede. Dal canto suo ogni richiedente di un visto, a fronte di una risposta negativa, è poi libero di richiedere una procedura formale presso l'Ufm. E caso mai aprire la via a un ricorso presso il Tribunale federale amministrativo.
Tenuto conto di quanto affermato fino ad ora, non ritiene che il punto A26 delle direttive sia contrario al principio di equità di trattamento da voi declamato? Cioè in particolare quando mettete delle barriere a persone provenienti da paesi socioeconomicamente inferiori alla Svizzera o senza lavoro o senza legami famigliari particolari nel paese di provenienza?
Nell'esame dell'entrata in materia è particolarmente importante poter provare le capacità di partenza dalla Svizzera da parte del richiedente allo scadere del visto. Evidentemente ogni caso è diverso dall'altro quindi sta a rappresentanti elvetici analizzarli caso per caso. Le condizioni contenute nel punto A26 contribuiscono a questo scopo nel rispetto pieno della parità di trattamento. Sarebbe invece una pratica discriminatoria la presa di decisioni in base al sesso, alla razza, all'orientamento religioso, alla nazionalità… Ma questo da noi è del tutto escluso.
Nelle direttive si afferma che uno straniero che assume personalmente le spese del proprio soggiorno in Svizzera deve dimostrare di disporre di un importo pari a 100 franchi al giorno. Una cifra un po' elevata, non le pare?
Tenuto conto dell'elevato costo della vita in Svizzera questa cifra ci sembra oggigiorno del tutto adeguata.
Scavando un poco si scoprono due procedure per ottenere il visto, quella normale (la richiesta è trattata solo dai rappresentati elvetici all'estero) e quella formale (la richiesta arriva in Svizzera e viene trattata dall'Ufm anche con indagini presso i cantoni e i comuni delle persone garanti). Perché non informare esplicitamente di queste due procedure? Avere un garante può aiutare nella procedura….
Cittadini con un obbligo di visto devono inoltrare una richiesta in tal senso alla competente rappresentanza svizzera all'estero. Questa è competente per la decisione. La rappresentanza svizzera all'estero (o il posto di frontiera) comunica se del caso allo straniero o alla straniera in maniera informale i motivi del rifiuto del visto e del suo annullamento. La rappresentanza svizzera all'estero o il posto di frontiera informa inoltre il o la richiedente che è possibile richiedere all'Ufficio federale delle migrazioni una decisione formale contro la quale è possibile inoltrare ricorso. A questa decisione è abbinata una tassa di 55 franchi. Le richieste di una decisione formale (con un suo costo supplementare, ndr) vengono inoltrate all'Ufficio federale delle migrazioni dalla rappresentanza svizzera all'estero o dal posto di frontiera.
Per poter essere i "garanti" di qualcuno il denaro ha un peso non indifferente. Bisogna infatti poter disporre di 20mila franchi per persona...
I rappresentanti elvetici all'estero possono subordinare il rilascio di un visto alla presentazione di una dichiarazione di garanzia, nel caso in cui il richiedente non dispone di sufficienti mezzi finanziari o se la sua situazione finanziaria è poco chiara. Affinché il garante possa provvedere a eventuali bisogni del richiedente del visto, viene chiesto fino a 20mila franchi per rispondere ad esempio a bisogni medici, in caso di incidente, in caso di rimpatrio…. Nel caso in cui una dichiarazione di garanzia è necessaria, il responsabile della rappresentanza svizzera all'estero attiverà la procedura corrispondente seguendo le necessarie istruzioni.
La persona che si vede negato i permesso di entrata non è rimborsata dei 55 franchi pagati nell'intento di ottenere il visto. È corretto secondo lei pagare per un servizio che non si è ottenuto?
La tassa di 55 franchi è una tassa relativa alle spese della procedura, come prevedono i principi generali del diritto amministrativo, nel rispetto del principio di parità di trattamento. Indipendentemente dall'esito della procedura questa implica dei costi amministrativi che devono venir coperti.
Negli ultimi tre anni sono state introdotte misure più severe nelle direttive interne dell'Ufm. È una risposta al crescere degli abusi? Quanti ne avete registrati?
Le direttive sono costantemente adattate alle circostanze del momento (sic!, ndr).
Invece di mettere barriere a priori non sarebbe stato meglio punire più severamente solo dopo aver costatato l'abuso?
L'aspetto finanziario copre, come indicato, soltanto una parte delle condizioni necessarie all'entrata in materia. Aumentare la cifra non avrebbe in alcun modo un impatto sul rispetto delle disposizioni richieste.


Il commento - Equità dorata

Ottenere una risposta dall'Ufficio federale delle migrazioni è forse più arduo per un giornalista curioso che non per un richiedente di entrata turistica in Svizzera. Il problema è che la risposta al turista arriva di sicuro, e anche in fretta, ma non il visto che viene con buone probabilità negato se si ha la sfortuna di provenire da un paese economicamente debole, se non si ha un legame famigliare solido in patria e se si è senza un lavoro. E pensare che all'Ufm dicono che loro di discriminazioni proprio non ne fanno, «nemmeno quelle basate sulla nazionalità».
Ma forse un po' hanno ragione perché il vero elemento discriminante in tutta questa storia è un altro: il denaro. Già perché se la tua nazione non ha dobloni a sufficienza, perdi una grossa fetta di chances di entrare in suolo elvetico; e se il tuo garante non ha almeno 20mila franchi da estrarre in caso di bisogno la meta si allontana ancor di più. Se poi osi dire di essere "finanziariamente autosufficiente" ma poi non hai almeno 100 franchi da spendere ogni giorno beh, sei spacciato.
Ma non è tutto. Se la tua richiesta di visto viene rifiutata «è normale» che i 55 franchi sborsati non ti vengano restituiti, dicono a Berna perché comunque «la richiesta è stata trattata e ha avuto il suo iter burocratico». Il problema è che molto spesso il visto è negato a priori e resta 24 ore in salamoia negli uffici della rappresentanza elvetica all'estero solo per dare l'impressione che quei 55 franchi siano spesi per asciugare il sudore di un funzionario che ha il «margine di manovra» per analizzare «con competenza e buon senso caso per caso».
Ma facciamo un passo indietro. Le direttive esistono da diversi anni ma i suoi punti più severi e discriminanti sono stati aggiunti negli ultimi anni da quando a capo del dipartimento di giustizia è arrivato un signore che non è propriamente un amante degli stranieri. Sarà un caso? E perché nel giro di una settimana dall'inoltro dell'interpellanza di Marina Carobbio una parte delle istruzioni sono diventate di accesso pubblico? Nessuno ha voluto rispondere a queste domande fingendo di non capirle. Nessuno ha voluto dirci se ci fosse una correlazione tra l'introduzione di direttive più severe ed eventuali abusi. E non ci è nemmeno lecito sapere quanti siano questi abusi.
Non ci resta che consolarci pensando alla faccia che faranno i richiedenti di un visto quando leggeranno le Disposizioni da seguire per ottenere il visto. Un documento che li accoglie con un caloroso e a caratteri cubitali "Gruetzi!"....

Pubblicato il 

19.10.07

Edizione cartacea

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