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Quando il docente trova la scuola chiusa

Il caso dei tredici abilitandi in italiano senza sbocco professionale ha scoperchiato un malessere diffuso all’interno della scuola ticinese. Precarietà, timore di rappresaglie e assenza di trasparenza sono le critiche principali alla dirigenza della Divisione educazione. 

Un caso “imprevedibile” e unico negli ultimi quindici anni. Così il capo divisione dell’educazione Emanuele Berger aveva giustificato ai microfoni della RSI la vicenda dei tredici abilitandi in italiano al DFA senza sbocco occupazionale nelle scuole ticinesi quando era emersa a inizio marzo. Una giustificazione che ha aperto un vaso di pandora di critiche circostanziate, rivelando che la mancata apertura di concorsi per assenza di fabbisogno di docenti si era già riproposta negli anni precedenti.

 

La scorsa estate, una ventina di abilitati per l’insegnamento nella scuola media superiore di chimica, matematica e arti visive, aveva scritto alla direttrice del DECS per segnalare il medesimo problema. L’assenza di posti si era già presentata pure nel caso di abilitati in storia e inglese. 

 

Da tredici a zero

Rispondendo all’interrogazione del deputato Maurizio Canetta sulla diminuzione “imprevedibile” di allievi alle Medie superiori all’origine del casus belli della cancellazione del concorso di docenti in italiano, il governo ha dato la sua versione di come si sia passati da un fabbisogno iniziale di sette docenti ad aprire l’abilitazione a tredici studenti, per poi scoprire che il fabbisogno reale era pari a zero. La riduzione “imprevedibile” di allievi nelle Medie superiori era equivalente a un calo di cinque classi, ossia un tempo pieno per un docente d’italiano.

 

La consapevolezza al DECS che qualcosa non funzionasse nel calcolo di fabbisogno di docenti e l’apertura al DFA di corsi di abilitazione nelle materie specifiche, era presente da tempo. A inizio dicembre è infatti stata annunciata la creazione di un gruppo di monitoraggio congiunto per «prevedere per tempo le necessità di formazione di nuovi insegnanti per i diversi ordini scolastici». Una sorta di ammissione di colpa che le cose già non funzionassero. 

 

Una lunga panchina precaria

Ad andarci di mezzo, i futuri insegnanti delle nuove generazioni di studenti ticinesi, che s’iscrivevano ai costosi corsi obbligatori d’abilitazione al DFA (in Ticino l’abilitazione costa il doppio del Canton Vaud), nella convinzione di veder premiati i sacrifici con un posto di lavoro. I continui errori di calcolo stanno allungando a dismisura la panchina dei neoabilitati pronti a lavorare appena si apre un concorso e di neodocenti sottoccupati con impieghi a tempi molto ridotti insufficienti per vivere. A differenza di quanto si possa immaginare, la problematica non riguarda i soli giovani adulti, ma pure persone che, superati i trenta, i quaranta e anche i cinquant’anni (magari con figli a carico), si sono sobbarcate due anni di abilitazione a loro carico e senza entrate finanziarie, per poi ritrovarsi disoccupate o precarie al termine della formazione. Il diffuso malessere si è palesato all’assemblea indetta dalla Vpod lo scorso 26 marzo, a cui hanno partecipato quasi un’ottantina di persone, perlopiù giovani e donne. 

 

Trasparenza e clima di paura

Le critiche sollevate nei numerosi interventi vertevano su più aspetti, dalla qualità giudicata scarsa della formazione del DFA a questioni prettamente legate alle assunzioni nel sistema scolastico cantonale. Su questo punto, la rivendicazione unanime è quella di una maggiore trasparenza. Particolarmente criticato il fatto che non siano mai rese pubbliche le graduatorie finali dei concorsi, precludendo così la possibilità di eventuali ricorsi, lasciando il dubbio di manipolazioni occulte.

 

Altrettanto opaco è stato giudicato il sistema di attribuzione del monte ore d’insegnamento delle materie nei vari istituti, prestando il fianco ad altrettanti dubbi su pratiche clientelari. Il fatto che le critiche non siano mai emerse, a detta dei presenti, è dovuto a una diffusa paura di ritorsione per chi osa esporsi. Seppure difficilmente comprovabile, l’unanime certezza che la repressione esista è sintomatico del clima respirato nel sistema scolastico cantonale.

 

Un’altra criticità emersa è la precarietà occupazionale. In una lettera indirizzata al Dipartimento, una sessantina di docenti ha segnalato come diversi neoassunti «si ritrovino impiegati a percentuali lavorative che variano dal 10 al 45%, che evidentemente non permettono la sopravvivenza in Ticino». 

 

Per capire l’ampiezza del fenomeno, area ha chiesto al DECS le statistiche sui tempi occupazionali dei docenti di scuola media e media superiore impiegati tra lo zero e il 30%, il 31-49%, il 50-79% e la parte rimanente. Il DECS afferma di non essere in grado di rispondere, rinviandoci alle statistiche annuali.

 

Da quel che si può osservare, va detto che i dati appaiono non allarmanti e soprattutto, non in crescita. Gli impieghi sotto il 50% (unico dato disponibile) non sono aumentati dal 2017-2024, restando piuttosto stabili attorno al 15% nel caso della scuola media e al 13% nel medio superiore.

 

«La precarietà è più articolata di quanto dicano le cifre occupazionali ufficiali» dice Edoardo Cappelletti, sindacalista Vpod, a cui abbiamo chiesto un commento alle cifre sull’occupazione. «Essa si divide in varie sfaccettature, tra chi ha la nomina ma gli viene ridotta la percentuale improvvisamente, chi è supplente da diverso tempo e chi invece, terminata l’abilitazione da pochi anni, spera di aumentare l’insufficiente grado d’occupazione. Per affrontare il tema nella sua integralità, stiamo promuovendo una discussione con l’intero corpo docente su precarietà e disagio (qui l'opuscolo), per individuare le criticità maggiori e proporre delle possibili soluzioni dal basso» conclude il sindacalista. La Vpod, forte delle 2.100 firme già raccolte nella petizione lanciata a inizio aprile a sostegno delle rivendicazioni poste al termine dell’assemblea sul caso degli abilitandi, è in attesa di una data per l’incontro chiesto con Marina Carobbio, responsabile del DECS e subordinatamente con il governo, in relazione alle questioni finanziarie per attuare misure concrete a favore dell’occupazione dei neoabilitati. Anche in questo caso, emerge un dato confortante. «Se inizialmente temevamo di non trovare docenti o abilitandi disposti ad esporsi, oggi contiamo una quindicina di rappresentanti». La paura di ritorsioni pare dunque sconfitta grazie alla copertura sindacale. O forse, è indicatrice di quanto il malessere sia talmente diffuso da non poter più essere taciuto.

 

Interpellata da area, la consigliera di Stato Marina Carobbio (nel box sotto la versione integrale) ribadisce «la disponibilità al dialogo e l’importanza di analizzare i problemi emersi, adottando nel caso le misure necessarie per migliorare in efficacia, qualità e trasparenza il sistema scolastico cantonale». Che si passi dalle parole ai fatti è l’auspicio di molti, al momento solo sussurrato. 

MARINA CAROBBIO PRENDE POSIZIONE

“Vogliamo migliorare in efficacia, qualità e trasparenza”

 

“In quanto direttrice del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) e Consigliera di Stato, ci tengo che il sistema educativo, e le istituzioni pubbliche più in generale, per quanto complesse e articolate, funzionino bene, siano affidabili e trasparenti e siano percepite come autorevoli e degne di fiducia da parte dalla popolazione. Ciò significa mostrare considerazione verso chi opera nel mondo della scuola, ascoltare senza pregiudizi, accettare le critiche, produrre risultati e rimediare a eventuali errori così da creare un rapporto di fiducia saldo e duraturo nel tempo.

 

Da parte mia, come annunciato in Gran Consiglio il 24 marzo 2025 alla luce delle criticità emerse nelle settimane precedenti – come ad esempio le stime sul fabbisogno di personale docente – c’è la volontà, per gli ambiti di mia competenza, di procedere a un’analisi oggettiva di tali criticità, senza pregiudizi e semplificazioni, valutando approfonditamente in particolare alcuni processi interni al DECS per migliorare in efficacia, qualità e trasparenza. Il mio obiettivo è guardare avanti per capire come possiamo, assieme, portare maggiore chiarezza e rafforzare la trasparenza di alcuni processi, anche a livello comunicativo, affinché le istituzioni scolastiche e le tante professioniste e i tanti professionisti che vi operano con grande impegno ogni giorno possano ritrovare l’autorevolezza e la fiducia che meritano. Questo, in parallelo ai lavori dell’Osservatorio docenti – voluto dal DECS in collaborazione con il DFA/ASP e la SUFFP – per meglio monitorare l’evoluzione demografica e il futuro fabbisogno di docenti. Proseguiranno inoltre le valutazioni già avviate su possibili sistemi di formazione dei docenti, coinvolgendo il DFA/ASP, la SUFFP, rappresentanti delle direzioni scolastiche e del corpo docente, e analizzando quanto accade negli altri Cantoni.

 

Proprio in questi giorni ho incontrato un gruppo di docenti che hanno concluso da poco o stanno concludendo una formazione pedagogica al DFA/ASP e che con generosità hanno condiviso con me liberamente le loro preoccupazioni, i loro auspici e le loro speranze. È mia intenzione lavorare anche assieme a loro, facendo tesoro delle loro esperienze, perché la scuola è di tutte e tutti noi ed è nostro dovere fare il possibile per migliorare sempre, giorno dopo giorno”.

Foto: la sede locarnese del Dfa

Pubblicato il

22.04.2025 17:39
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