Quando i maestri erano schiavi

La scuola costa. Una constatazione banale, ma di grande attualità, visti i progetti di risparmio del nostro Governo nel campo dell’istruzione. La tendenza non è solo ticinese, in molti Cantoni e in diversi Stati europei la scuola è oggetto di radicali potature imposte dai “giardinieri” delle pubbliche finanze. D’altronde è veramente così necessario dilapidare i denari dello Stato per istruire ed educare le giovani generazioni? Il grande e potente impero romano offre un modello alternativo molto economico. Nella Roma imperiale lo Stato non si occupava della scuola e quindi per essa non spendeva un sesterzio. L’istruzione era prerogativa della famiglia. Se questa era facoltosa, il primo passo era semplice: bastava comprare un pedagogo di buona qualità e, naturalmente, la qualità si pagava. Di solito si trattava di uno schiavo di origini greche che, parlando greco, insegnava la lingua di Omero al giovane allievo-padrone. Ad insegnare a leggere, scrivere e far di conto ci pensava un “litterator” o “magister ludi”. Anche in questo caso, ai fanciulli delle famiglie veramente ricche, si comperava uno schiavo personale. Pochi però erano quelli che potevano permettersi tanta spesa. Le famiglie sufficientemente agiate da lasciare che i bambini non lavorassero, ma non veramente ricche, mandavano i fanciulli in una delle tante scuole private di cui pullulavano i portici e le tabernae romane. Si trattava in realtà di luoghi poco raccomandabili e terribilmente noiosi. L’insegnamento era impartito da schiavi o da liberti (cioè schiavi liberati). Ogni allievo pagava otto asses al mese, una cifra irrisoria con la quale l’insegnante difficilmente poteva sopravvivere senza dedicarsi ad altri lavoretti. Non c’è da stupirsi che la motivazione dei docenti fosse minima. Le lezioni erano monotone e ripetitive. Si limitavano spesso all’infinita ripetizione delle lettere dell’alfabeto o dei numeri da uno a dieci: una vera noia! L’unico argomento valido nelle mani del magister ludi era la sferza di cui faceva abbondante ed indiscriminato uso per ottenere l’attenzione degli allievi. «Il dolore e la paura fanno fare ai fanciulli cose che non si possono onestamente riferire e che ben presto li coprono di vergogna. Accade di peggio se si è trascurato di indagare sui costumi dei sorveglianti e dei maestri. Non oso dire le infamie cui uomini abominevoli si lasciano andare in base al diritto di punizione corporale, né gli attentati di cui la paura dei disgraziati fanciulli suscita qualche volta l’occasione in altri…». Questa la testimonianza di Quintiliano su una scuola che insegnava più la vigliaccheria che non a leggere e a scrivere. Anche il risparmio ha il suo prezzo.

Pubblicato il

21.11.2003 12:30
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