Quando Lugano sconfina

A colpi di deroghe e di eccezioni, della Legge cantonale sul lavoro non rimarranno che brandelli. È quanto emerge dal recente ricorso inoltrato dal sindacato Unia alla Corte di diritto pubblico del Tribunale federale con cui si chiede «l’effetto sospensivo dell’entrata in vigore delle modifiche al Regolamento di applicazione della legge cantonale sul lavoro» (del 10 dicembre 2004) e in base al quale anche Lugano è stata fatto rientrare fra le località di confine. Già nel novembre del 2004, Unia aveva espresso, nell’ambito della consultazione promossa dal Governo (si veda area n. 46 del 12.11.04) la propria totale opposizione alla deroga che, secondo il sindacato, camuffava l’ennesimo tentativo di generalizzare la liberalizzazione su vasta scala degli orari di apertura di tutti commerci. Ciò che in sostanza Unia contesta è l’incostituzionalità di un decreto che infligge, seppur attraverso un giro tortuoso di rimandi, un duro fendente alla Legge sul lavoro, già debilitata dall’introduzione di continue deroghe (cfr. box a lato). «Siamo di fronte ad un decreto – rileva Luca Gatti, segretario di Unia Ticino che ha firmato il ricorso per il sindacato – che nelle intenzioni (dichiarate) sostiene di voler dare slancio ai piccoli negozi (quelli specializzati, di quartiere) sempre più in difficoltà ma che in realtà favorisce la grande distribuzione. È quest’ultima, infatti, che potendo far ricorso al lavoro a tempo parziale o su chiamata può prolungare a piacimento gli orari di apertura. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: un numero sempre crescente di piccoli commercianti che finiscono con l’abbandonare la propria attività sotto l’incalzare della forte concorrenzialità dei grossi centri commerciali; una coesione sociale sempre più minata con le lavoratrici e i lavoratori del settore sottoposti vieppiù a costanti sacrifici e a ritmi lavorativi che compromettono la loro vita sociale e familiare.» Ma il motivo principe cavalcato da Unia per poter inoltrare il ricorso, resta quell’incostituzionalità. Secondo Unia infatti in Ticino, ormai da anni, attraverso le diverse deroghe – in materia di orari di apertura dei negozi – riguardanti le zone turistiche, le zone di confine, l’apertura fino alle 21 il giovedì, le manifestazioni speciali, i prefestivi si va stravolgendo quello che è il contenuto portante della Legge cantonale sul lavoro che dà puntuali disposizioni sul divieto dell’apertura domenicale e sugli orari di chiusura serali (quelli usuali). Insomma, con una deroga qui e una deroga là, il principio dell’eccezionalità sta paradossalmente diventando regola. «C’è solo una via che permette di modificare la regola stabilita dalla Legge – afferma il sindacalista Unia – ed è la via legale che impone di sottoporre un nuovo disegno di legge al parlamento e, facoltativamente, alla volontà popolare attraverso il referendum. Un tentativo in questo senso c’era stato nel 1998 con un un nuovo progetto di Legge sul lavoro sul prolungamento degli orari di apertura dei negozi, un tentativo naufragato per l’opposizione del popolo che espresse il suo no in proposito. Volontà popolare che, attraverso il grimaldello delle deroghe, attualmente è stata scardinata.» La deroga concessa a Lugano, che l’inserisce fra le località di confine, in sostanza – sostiene Unia – finisce con l’estendere alla quasi totalità dei commerci il prolungamento degli orari d’apertura. Insomma, inutile menare il can per l’aia: «La realtà – fa notare Gatti – è che Lugano è il più grande agglomerato urbano del Cantone e sul suo territorio, insieme a quello del Mendrisiotto, si concentrano la maggior parte dei grossi centri commerciali a cui va anche il primato della cifra d’affari conseguita nel ramo della vendita, del numero dei clienti e degli impiegati nel settore.» Ma non è esagerato parlare di generalizzazione di una deroga? «Abbiamo già assistito – rileva Gatti – all’estensione di un’eccezione, concepita per i commerci di confine che subiscono la concorrenza diretta dei negozi italiani (con orari d’apertura serali più estesi di quelli dei commerci ticinesi), al Mendrisiotto e ad alcuni comuni del Locarnese. Ebbene oggi, l’inclusione del nuovo comune Lugano (che non si trova a ridosso del confine e che non subisce alcuna concorrenza diretta dalla vicina Italia) fra le località di confine, fa perdere il carattere di eccezionalità ad una deroga che dovrebbe invece riguardare poche situazioni puntuali. La legge sul lavoro finisce coll’essere applicata solo ad una minoranza di commerci se si considerano questi non numericamente ma per importanza sul mercato.» Insomma, siamo di fronte ad un decreto-cavallo di Troia attraverso il quale si riversano tutta una serie di conseguenze penalizzanti sì per i piccoli commerci ma soprattutto per gli impiegati del settore che ne pagano il prezzo più alto. «La chiusura alle 19 in settimana, rispettivamente alle 21 il giovedì e alle 18 il sabato – specifica Gatti – ha delle dirette ripercussioni sulle relazioni sociali e familiari delle lavoratrici e dei lavoratori che vedono pressoché divorato il loro tempo libero serale. Quando un negozio chiude al pubblico, agli impiegati dell’esercizio restano ancora gli ultimi clienti da servire, il controllo delle casse, il riordino delle merci e le mansioni di pulizia. Così, tra un compito e l’altro, ne va di mezzo l’intera serata con tutti i problemi che ne conseguono. È chiaro allora capire come per un dipendente sia estremamente difficile mantenere un ritmo sociale e famigliare equilibrato e soddisfacente: soprattutto per i nuclei famigliari che per i loro figli piccoli devono poter contare su strutture di supporto quali asili nido, mamme diurne, eccetera.» E sono queste le conseguenze di cui la deroga non si preoccupa affatto. Motivo che ha spinto Unia a dare inizio da ieri ad una campagna di sensibilizzazione a tappeto rivolto a tutto il personale di vendita operante a Lugano. «La struttura della nostra società – conclude Gatti – soprattutto in Ticino, da sempre si basa sull’apporto effettivo della popolazione che con la sua partecipazione tiene vive migliaia di piccole realtà di svago e di integrazione fra le componenti eterogenee che formano la comunità. Il rischio di questa mancanza o diminuzione di impegno sociale è un aumento della disaffezione alle attività comuni che spinge gli individui ad un crescente isolamento.»

Pubblicato il

28.01.2005 03:30
Maria Pirisi