Qualcosa di sinistra

Chi si aspettava che il XIV congresso della Cgil si concludesse con una parola di sinistra non è rimasto deluso. A Rimini si è concretizzata la certezza che in Italia un’opposizione politica al governo delle destre e dei padroni esiste e ha un radicamento di massa. Paradossalmente non è un partito o un insieme di partiti a guidarla, ma un sindacato, la Cgil appunto. Per la prima volta da quasi vent’anni il congresso del più importante sindacato italiano si è concluso all’unanimità (un voto contrario e quattro astenuti su oltre mille delegati), nonostante la sua preparazione avesse visto la contrapposizione tra due mozioni, una della maggioranza cofferatiana e l’altra della minoranza di sinistra. Due posizioni divise su tre punti importanti: il giudizio e l’atteggiamento sulla guerra, non più machiavellicamente intesa come continuazione della politica, ma come elemento costitutivo del nuovo ordine mondiale; il rapporto con il popolo di Seattle, di Genova e di Porto Alegre che si batte contro la globalizzazione neoliberista; l’intesità e le forme di lotta contro il governo neoliberista che abbiamo in casa, il governo razzista, fascista e padronale guidato da Sua Emittenza Silvio Berlusconi. Alla fine di una settimana di dibattito serrato, anche duro, mai rituale, un punto d’unità è stato trovato e assunto come strategia dell’intera organizzazione nelle conclusioni del segretario generale, Sergio Cofferati. Permangono posizioni differenti, è ovvio, ma gli aspetti comuni hanno prevalso sulle divisioni. Una strada comune è possibile Contro il coinvolgimento dell’Italia nelle guerre americane, con qualsiasi nome vengano camuffate, si schiera un esercito pacifico di cinque milioni e mezzo di lavoratori e lavoratrici, sangue e carne della democrazia italiana. Non è poca cosa, se si pensa al ruolo ambiguo, contraddittorio della Cgil come quello delle principali forze del centrosinistra di Fassino e Rutelli durante i bombardamenti di Pristina e Belgrado e ancora poche settimane fa di Kabul. Altrettanto significativa è l’autocritica sostanziale per l’assenza del sindacato di Cofferati dalle giornate straordinarie e terribili di Genova, quando trecentomila giovani e meno giovani no global avevano invaso la città ligure contro la politica dei G8 e la repressione fascista guidata da Fini e Berlusconi aveva riempito caserme e ospedali di centinaia di arrestati e feriti e lasciato sul selciato il corpo senza vita di Carlo Giuliani, un giovane compagno figlio di un dirigente della Cgil. Ora – l’ha riconosciuto con soddisfazione uno dei leader italiani del «movimento dei movimenti» Vittorio Agnoletto – una strada comune è possibile, pur nelle differenze e nel reciproco rifiuto della violenza. Ma è sui temi più tradizionalmente sindacali che il congresso di Rimini ha fatto fare un passo avanti all’insieme della Cgil: il rifiuto della flessibilità selvaggia pretesa dalla Confindustria e dal suo governo, l’opposizione alle deleghe al ministro del welfare e del lavoro, il leghista Bobo Maroni. Per difendere lo Statuto del lavoratori che pretende (all’articolo 18) il reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati, la Cgil è pronta a ogni forma di lotta, compreso lo sciopero generale nazionale. E se Cisl e Uil, come sembrano intenzionate a fare, decidessero di ingrossare le fila degli «ascari» di Berlusconi e del padrone dei padroni Antonio D’Amato rompendo il patto d’azione sindacale, rendendosi indisponibili alla più dura delle lotte sindacali, la Cgil andrà avanti da sola. Non è una scelta di poco conto, ma la rottura di una grande tradizione di unità che negli ultimi anni si era trasformata in una gabbia, in cui il principale sindacato italiano era stato fatto prigioniero. Ora, finalmente, le sbarre di quella gabbia sono state spezzate e milioni di lavoratori e lavoratrici sono liberi di mettere in campo tutto il loro protagonismo sociale e politico. I diritti dei lavoratori Una rottura come quella a cui abbiamo assistito a Rimini – pur non essendoci nulla di irreversibile, in un paese in cui l’opposizione politica sembra essersi liquefatta, sensibile al massimo alle tirate d’orecchie del regista Nanni Moretti e del pool dei magistrati milanesi, ma totalmente assente dalla battaglia per i diritti del lavoro picconati dal governo – naturalmente non nasce dal nulla. Protagonista della svolta è stata innanzitutto la Fiom, il sindacato dei metalmeccanici Cgil che si è speso in prima persona e in solitudine (Fim e Uilm hanno firmato un accordo-bidone separato con l’associazione padronale dei meccanici) con due scioperi generali per il contratto e una straordinaria manifestazione nazionale che ha portato a Roma 250 mila tute blu. La stessa Fiom che in luglio a Genova aveva rotto la tradizione all’obbedienza alle scelte della confederazione, portando in piazza con i no global i suoi militanti e dieci giorni fa aveva partecipato, non come osservatrice ma come promotore, al Forum mondiale di Porto Alegre, unico grande sindacato insieme alla Cut brasiliana. La stessa Fiom che insieme al «manifesto» e al movimento pacifista e antiliberista aveva riempito le piazze della città italiane contro la guerra all’Afghanistan. La pratica sindacale radicale dei metalmeccanici della Cgil ha certamente influenzato l’intero sindacato di Cofferati, forse più di quanto siano state in grado di fare le sinistre interne, più vicine a Rifondazione comunista. La ricollocazione della Cgil nella lotta politica italiana non poteva che avvenire nel contesto di una dura critica all’evanescenza dell’opposizione politica. Sia chiaro, il segretario generale Sergio Cofferati è tutt’altro che un estremista di sinistra. Al contrario, la sua tradizione è profondamente radicata nella cultura riformista, socialdemocratica delle sinistre italiane ed europee. Cofferati è un diessino, da tempo in polemica con il gruppo dirigente del suo partito che ha via via abbandonato le posizioni riformiste nel tentativo sciagurato e illusorio di poter governare o quanto meno arginare i processi di globalizzazione liberista e i suoi effetti devastanti, che cancellano i diritti dei lavoratori e dei cittadini in genere, dei giovani precarizzati, degli anziani che vedono messe a rischio pensione e possibilità di curarsi, dei lavoratori immigrati. Ds risorgerà con Sergio Cofferati? Cofferati ha usato parole dure nei confronti del teatrino politico schierato nella tribunetta degli ospiti durante la relazione introduttiva al congresso riminese. Dall’altro lato, una forza sensibile alle tematiche dei diritti e delle lotte sindacali come Rifondazione comunista è rimasta ai margini, diffidente sulla capacità rigeneratrice di quel corpaccione «burocratico e moderato» che è la Cgil. Il segretario del Prc Fausto Bertinotti, per decenni dirigente di spicco della Cgil, ha ritenuto di restare qualche giorno in più a Porto Alegre, convinto che a Rimini non sarebbe avvenuto nulla «di sinistra», salvo poi aggiustare il tiro a fine congresso e riconoscerne la svolta, soprattutto in relazione alla disponibilità della Cgil a non abbandonare l’ipotesi dello sciopero generale, anche in assenza di Cisl e Uil. Con sempre maggior frequenza si parla della possibilità che tra qualche mese Sergio Cofferati, alla scadenza del suo mandato di segretario generale della Cgil, possa diventare il leader dei Ds, raccogliendo un testimone decisamente scivoloso dalle mani della coppia Fassino-D’Alema. Non è escluso che Cofferati si renda disponibile a un’ipotesi di questo tipo. Che l’operazione di rianimazione possa poi riuscire, è tutto da vedere. In caso affermativo sarebbe quasi la riedizione del miracolo di Lazzaro. Cgil sulla strada della rifondazione Tornando alla Cgil, la strada della sua rifondazione è appena tracciata e non sarà né semplice né lineare. Già questa settimana l’organizzazione dovrà fare i conti con una protesta dei lavoratori del pubblico impiego, promossa dai sindacati di base. Erano state Cgil, Cisl e Uil, inizialmente, a organizzare la protesta legata al mancato rinnovo del contratto di lavoro. 24 ore prima dell’inizio del congresso Cgil, il governo aveva mollato sulla parte salariale e le confederazioni avevano firmato un accordo che in Cgil ha fatto storcere il naso a più d’uno. Sono soprattutto gli insegnanti ad aver mal digerito il ritiro dello sciopero, contestando il criterio inserito nel contratto che rompe l’egualitarismo e apre agli aumenti al merito. Al tempo stesso, uno dei punti centrali dello sciopero era la lotta contro la privatizzazione della scuola e la controriforma voluta dalla ministra Letizia Moratti. Un punto che la firma del contratto di categoria non ha certo risolto. Così finirà che molti insegnanti iscritti alle confederazioni parteciperanno a titolo individuale allo sciopero dei sindacati di base del 15 febbraio.

Pubblicato il

15.02.2002 05:30
Loris Campetti