QR, ma chi ve l’ha chiesto?

Non so voi, ma io talvolta mi sento “antica”, come direbbe mio nipote Ettore che ormai è un adulto ma da piccolo pontificava a colpi di condizionali, cosa che se hai di fronte una cosetta alta due spanne sarete d’accordo che un po’ perplime. Mai dimenticherò Ettore quando a cinque anni mi chiese: «Zia, ma tu c’eri ai tempi dell’impero romano?».


C’è che sono un’appassionata di computer e poche cose mi danno soddisfazione come inserire dati in una tabella digitale. Tuttavia, più invecchio e più il mondo mi sembra impazzito. Ora ditemi, ma chi ve l’ha chiesto di trasformare la mia vita in un QR? La scadenza del primo ottobre si avvicina. Ne abbiamo parlato in questa rubrica a giugno. Il momento è arrivato e come voi, mi sono rassegnata. Da quel giorno sarà obbligatorio che ogni bollettino di pagamento contenga uno scarabocchio che da zero a mille è diventato pane quotidiano. La velocità del cambiamento continua a lasciarmi a bocca aperta. Saggezza insegna che è inutile protestare. A meno che tu non viva su un’isola deserta, a cotanti movimenti globali puoi solo adeguarti. Ma resta un diritto, marginale quanto irrinunciabile, saperne di più.


Cominciamo allora dalle basi. QR sta per “quick response”: risposta veloce. È un parente del codice a barre, che molti conoscono anche se come consumatrice a malapena te ne accorgi. Mai prima d’ora quegli scarabocchi hanno fatto parte con tale morbosità delle nostre vite quotidiane. C’è che gli oltre due anni di regime d’emergenza per “appiattire la curva” hanno fatto vertiginosamente aumentare l’utilizzo dei QR. Sono ovunque. Non solo nell’attualmente surgelato “Covid Pass”. Sono su giornali, manifesti e alle fermate dell’autobus. Un QR code può contenere oltre quattromila caratteri di testo. In genere contiene l’indirizzo di un sito web. Come è noto, va immortalato con la fotocamera del telefono. Si presta a raccogliere coordinate Gps (dove sei in questo momento). Ma è anche bravo a pubblicare un post su Twitter e aggiungere un appuntamento in agenda.

 

E come al solito quando arriva una novità mirabolante, offre il fianco a potenziali trappole. Vedi alla parola sfera privata. Perché quando scannerizzi un QR ti colleghi al sito di chi l’ha emesso. A meno che tu non stia navigando in modalità “privata”, i tuoi dati vengono registrati. La solita amara vicenda di informazioni raccolte per guadagnare soldi e spazio di manovra: interessano i miei gusti, dove abito e come uso le tecnologie. E arriva l’inganno: esistono il QPhishing e il QHacking (l’esimia correttrice di bozze di area in questo momento mi sta odiando). Poiché noi umani vediamo lo scarabocchio ma senza infrastruttura non lo possiamo leggere, i soliti sospetti hanno gioco facile a nasconderci una truffa. Gli esperti hanno già cominciato a borbottare: mi raccomando, scannerizzate solo QR di cui conoscete l’origine!

 

Per me consumatrice resta una domanda. Se il mondo si riempie di QR, ho la possibilità di stare al gioco oppure no. Ma se le banche decidono che è obbligatorio, dov’è il diritto di scelta? Recitano i siti che il vantaggio è il seguente: meno errori di battitura. In buona sostanza ci stanno dicendo che erriamo. Non credo di essere un genio, non ho un PhD in fisica nucleare. Tuttavia non ho mai trasferito denaro al conto sbagliato. E allora mi sento trattata come una stupida. In inglese c’è un’espressione calzante per dirlo: patronising. In italiano: infantilizzare. Infine, dicono: non vi preoccupate, potete andare allo sportello a pagare le bollette e il vostro IBAN resta valido. Grazie mille! Due domande mi restano in gola: chi ve l’ha chiesto e chi ci guadagna. Ve l’ho detto, sono antica.

Pubblicato il

01.09.2022 10:54
Serena Tinari