Prove tecniche di controllo sociale

Dick Marty è contrario all'applicazione: «Non è sicura ed è espressione del pensiero unico»

SwissCovid è pronta: anche il nostro paese ha la sua applicazione per il tracciamento dei contatti contro il coronavirus. Come la Svizzera, tanti altri paesi hanno adottato questa misura. Se i cittadini sembrano poco interessati, c’è chi storce il naso. Prudenza mette in guardia Amnesty International. Non mancano le voci critiche fra intellettuali e politici, che temono uno scivolamento verso società sorvegliate tecnologicamente. A scapito delle libertà individuali e della privacy.   

La comunicazione da Berna, mentre scriviamo, è che l’applicazione SwissCovid per cellulari sarà disponibile dal 25 giugno. Da ieri (per chi legge oggi), se nel frattempo non ci sono stati inciampi, nell’Apple Store e in Google Play Store si trova l’app da scaricare la cui base legale è stata approvata dal parlamento. Gratuita e in maniera facoltativa: se vi va, insomma.  


«Il tracciamento dei contatti ferma la catena di infezioni. L’app informa le persone che sono state a stretto contatto con una persona malata, che però non conoscono personalmente. La sfera privata degli utenti ha comunque la massima priorità: non vengono salvati centralmente dati personali» afferma l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp). Un’applicazione va detto che, dopo i test, è risultata non essere completamente sicura (vedi box), ma i cui rischi di furto dati per gli utenti sono stati valutati come minimi e, dunque, accettabili.


Se possiamo evitare di contagiarci, perché mai non andrebbe scaricata? «Il rischio che si crei un grande fratello elettronico è talmente chiaro che sono gli stessi promotori a non negarlo neppure più, ma a difendere la corsa alla sorveglianza per la tutela della salute, chiedendo che i cittadini terrorizzati e disorientati mostrino cieca obbedienza e legittimino tali misure draconiane. L’ingenuità di fondo è infatti credere che le misure prese in stato di eccezione poi vengano sospese una volta terminata l’emergenza. Come dimostra il caso dell’11 settembre con l’introduzione del Patriot Act, il potere sfrutta momenti di crisi per stringere le maglie del controllo e della sorveglianza sui cittadini. Dobbiamo iniziare a non concentrarci esclusivamente sul “far salva la pelle”, che è sacrosanto, ma anche a immaginare come potrebbe essere la nostra società cessata l’emergenza fra qualche mese o qualche anno. Dobbiamo maturare una visione che prenda in considerazione anche le conseguenze a lungo termine delle nostre azioni, soprattutto se queste sono dettate dalla paura per allontanare il rischio di ritrovarci tutti in una società trasparente in cui saremo uomini e donne di vetro sotto controllo costante del grande fratello elettronico». Così ci dice la giornalista torinese (qui l'intervista), con uno sguardo particolare sulla realtà italiana, Enrica Perucchietti.


Restiamo con i piedi per terra, nel senso letterale del termine: teniamo i piedi in Svizzera. Dobbiamo temere davvero uno strumento sviluppato dalla Confederazione, quando con disinvoltura scarichiamo applicazioni, usiamo i social, accettiamo cookies senza leggere le condizioni di utilizzo?  
Affrontiamo la questione con Dick Marty, ex magistrato e già Consigliere agli Stati dal 1995 al 2011, cauto nei confronti dell’uso della tecnologia.


Avvocato Marty, immaginiamo che lei non scaricherà l’app per il tracciamento...
No, non la scarico, come del resto non uso i social e se sono in treno disattivo Bluetooth. La tecnologia porta con sé elementi positivi, ma occorre essere prudenti, affinché i nostri dati personali restino di nostra esclusiva proprietà. Quello che ho sul cellulare (numeri di telefono, agenda, foto, documenti), deve restare mio. Ho perplessità anche dal punto di vista pratico: affinché l’applicazione sia efficace, e tracci quello per cui è stata creata, dovrebbe essere scaricata dalla maggioranza della popolazione. Non solo, tutti gli utilizzatori dell’app dovrebbero possedere uno smartphone dell’ultima generazione. Ho seri dubbi che la misura possa funzionare già dal profilo tecnico per queste ragioni.


Non si fida, dunque, di SwissCovid?
Credo nell’onestà dell’azione da parte dell’autorità e sono convinto del fatto che non ci sia un secondo fine dietro al lancio dell’applicazione. Resta il fatto che non la considero sicura. L’applicazione è stata una bella sfida per chi l’ha sviluppata (i politecnici di Zurigo e Losanna, ndr), ma ricordiamoci che per funzionare deve passare dai sistemi di gestione di Apple e Android e qui non sappiamo chi c’è dietro. È un fatto accertato che Facebook abbia collaborato con l’Intelligence americana, fornendo dati dei loro utenti. Ritenere che la tecnologia sia una risposta a tutti i nostri problemi, è una falsa sicurezza ed è un modo per delegare acriticamente a terzi, in questo caso lo Stato, senza analizzare le conseguenze delle nostre azioni. Se ci limitiamo solo a delegare, rischiamo di scivolare verso una società sorvegliata tecnologicamente nel nome di un nostro presunto bene.


L’applicazione è comunque scaricabile solo su base volontaria...
Vero, ma ci mancherebbe pure il contrario in uno stato democratico! L’applicazione resta comunque un cedere dei dati personali e deve essere un mio diritto se farlo o meno. Quello che più mi inquieta di queste applicazioni, di cui si sono dotati molti paesi, è il fatto che siano l’espressione del pensiero unico, che ben si sta esprimendo in questo periodo, contraddistinto anche in Ticino da una retorica guerriera. Sia ben chiaro, non sto negando, né sottovalutando il pericolo legato al coronavirus, osservo però che la comunicazione che è stata usata possa favorire nella popolazione una percezione distorta delle minacce. La salvaguardia della salute e della protezione dei cittadini è un dovere, ma non sempre si sono messe in atto misure di tale portata.


A che cosa si riferisce precisamente? C’è stata una strumentalizzazione della paura?
La paura, in generale, da sempre è usata dai poteri per manipolare e tenere a bada il popolo. Mi piace ricordare qui il discorso di Franklin Roosevelt, presidente degli Stati Uniti, che nel gennaio 1941, rivolgendosi agli americani, parlava delle quattro libertà fondamentali. Fra queste, la libertà di non avere paura. Se ci fa caso, è tutto il contrario di quanto accaduto in questi mesi, dove la paura è stata fomentata.
Per fare un esempio, un classico della strumentalizzazione della paura è la lotta al terrorismo. Negli Stati Uniti dal settembre 2001 a oggi i morti per terrorismo sono stati 3.030 e la maggior parte delle vittime è collegata all’attentato dell’11 settembre. Nello stesso periodo, sempre in America, si sono registrate 700mila vittime per armi da fuoco (scontri con la polizia, rapine, regolamenti di conti privati). Un numero superiore alla strage fatta dalla guerra nel Vietnam e alle vittime di attentati terroristici. Eppure, nonostante siano più i morti per un colpo partito da un fucile o da una pistola, non vengono lanciate campagne altisonanti contro il pericolo da armi da fuoco. E il motivo è puramente legato agli enormi interessi economici delle lobby coinvolte nel mercato. Per la lotta al terrorismo invece si è battuto il ferro con clamore, facendo leva sull’emotività. Non solo, si è seminato panico fra la popolazione, ma sul suo altare sono state sacrificate libertà fondamentali. La strumentalizzazione è servita per togliere diritti acquisiti. Parallelamente, per fare un riferimento alla realtà svizzera, nel nostro paese abbiamo circa 9.500 decessi all’anno per cancro ai polmoni, causato perlopiù da fumo e inquinamento. Si tratta di una malattia, che come il coronavirus, colpisce i polmoni, con una mortalità pari a 26 persone al giorno. Se ne parla con lo stesso clamore fatto per il coronavirus? No, perché ci sono interessi economici importanti, fra cui gli introiti del tabagismo. Il nostro parlamento ha mai vietato per caso la pubblicità delle sigarette?


Per ritornare a SwissCovid, pensa che ci siano dei rischi per i cittadini?
Quando sento affermare che l’app è sicura, devo controbattere che non è vero. Io vedo nel doversi appoggiare a Bluetooth la grossa debolezza del sistema: se una persona è un po’ abile a livello informatico, può riuscire a introdursi in dispositivi altrui. Seconda debolezza: per funzionare l’app deve passare dai sistemi di gestione di Google e Apple, che non sono open source. Non sappiamo chi ci sia dietro a questi sistemi e che cosa fanno con i nostri dati. C’è chi sostiene “io non ho nulla da nascondere”: è una sciocchezza. Ogni nostra informazione che passa attraverso la tecnologia viene immagazzinata su server americani. Consiglio di leggere “Errore di sistema” di Edward Snowden per capire che cosa potrebbe accaderci a causa di nostre informazioni lasciate circolare in maniera superficiale. Mettiamo il caso che attraverso un social siete in contatto con una persona, che magari neanche conoscete, la quale però è nella lista di possibili terroristi e voi un giorno dovete attraversare una frontiera negli Stati Uniti. Per questa informazione, che siete due individui in contatto, potreste essere fermati. Il rischio di che cosa rappresentino telecamere e app lo vediamo in Cina, dove la popolazione è costantemente sorvegliata. A ogni cittadino viene attribuito un determinato numero di punti. Una persona attraversa la strada con il semaforo rosso? Grazie al riconoscimento facciale, verrà subito identificata e sanzionata con la perdita di un determinato numero di punti. E più punti perdi, più ti saranno limitate determinate libertà. Per questo sono contrario di principio a SwissCovid: legittimata l’idea di un’applicazione legata alla garanzia di presunte sicurezze, ne potranno essere in futuro introdotte altre, raffinate per ogni problema, rischiando di creare una società controllata tecnologicamente. Certo, vivere in libertà comporta dei rischi, che sono però sempre inferiori a quelli di un paese che si allontana dallo stato di diritto e irrompe sulle libertà individuali. Per Amnesty International questi sono «strumenti di sorveglianza di massa inquietanti visto che partecipano tutti attivamente alla localizzazione in diretta degli utilizzatori inviando frequentemente delle coordinate Gps a un server centrale».

Pubblicato il

26.06.2020 16:26
Raffaella Brignoni