Pedagogie di classe dunque. Quali i luoghi deputati all’educazione allora? La pubblicità ad esempio. Le recenti festività natalizie mi danno uno spunto per scriverne male. Ci si chiede sempre come aiutare, come educare i propri figli. Ci si lamenta, ci si chiede sempre come fare di fronte ai conflitti, alle incomprensioni e alle difficoltà nel tirare grandi i propri figli. La pubblicità aiuta. Ebbene con nostro figlio proviamo a fare così: portiamolo regolarmente a mangiare alla McDonald, compriamogli merendine edulcorate EE, nutriamolo transgenicamente, lasciamolo inchiodato come minimo 1 ora davanti al televisore (ma meglio 3 ore), sottoponiamolo a qualche video fumettistico ben armato degli ultimi ritrovati bellico-cibernetici, sostituiamo il gioco collettivo con qualche giochino video, sostituiamo la relazione (la parola) con i genitori e i compagni con qualche ritrovato video televisivo, passeggiamo regolarmente nei grandi magazzini ricolmi di merci, subissiamolo di discorsi aggressivi e guerrafondai, ma principalmente e soprattutto permettiamogli di vedere e leggere quante più pubblicità alimentari, ludiche e di vestiti griffati che si possa e ciò possibilmente senza sosta. Chi non rimane preso nella rete della pubblicità, pur magari facendone resistenza? Chi non si scopre sorpreso confrontandosi con il modello che gli viene condizionato? In verità é così invasiva, così tanto presente negli spazi pubblici e privati che troppo sovente occupa le nostre menti e per ciò non può essere considerata unicamente come un fatto neutro e meramente economico. Ora noi vediamo bene qual é lo stupore pubblicitario, l’innocenza del consumatore di fronte al cartellone che lo cattura invitandolo o a essere, o consumare secondo uno stile proprio al cittadino arrivato: ecco ciò che tu devi essere, ecco ciò che tu sei. E si, perché la pubblicità ti educa, ti invita, ti conduce alla conformità da essa decisa. Proprio come uno specchio, uno specchio identitario, ti dice ogni volta come devi essere, o come puoi essere, o come puoi essere migliore di quanto sei adesso. Ti interroga, e giocando sull’avere ti fa sentire! «I nostri nonni portavano sovente delle insegne religiose, noi portiamo piuttosto delle insegne politiche, i nostri figli portano delle marche: abbiamo dei figli Nike, dei figli Benetton, dei figli McDonald o Coca Cola!» Vedi François Brune in «Casseur de pub» http://www.antipub.net/ La misura dell’educazione moderna si fa in minuti e in metri cubici. Minuti di pubblicità radio televisive, metri cubici di merci esposte negli scaffali dei grandi magazzini, metri cubici di pubblicità stradali (cubici perché lo spazio pubblicitario é quello percettivo - la distanza dunque tra il cartellone e il soggetto che lo guarda). I legislatori, invece che permettere di ricoprire i muri, i marciapiedi e le piazze di cartelloni pubblicitari, nelle scuole, nelle strade delle città, nei luoghi pubblici, meglio, molto meglio, farebbero a creare delle zone franche, delle bandite dove nessuna pubblicità commerciale possa essere posta a memoria delle future manipolazioni dell’infanzia.

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15.02.02

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