A ridosso della disfatta per i sostenitori della scuola privata, decretata dalla votazione popolare dello scorso febbraio, era seguita la promessa di Marina Masoni di destinare alla scuola pubblica, i soldi previsti per quella privata. Si trattava di 5 milioni di franchi. A distanza di quatto mesi le cose vanno anche meglio. Il Consiglio di Stato prevede di investire ben 11 milioni di franchi per migliorare la scuola pubblica. Inutile dire che la soddifazione del Comitato per la scuola pubblica è stata grande. Ce ne siamo sincerati di persona andando a porre qualche domanda al presidente dell'associazione Mario Forni.
Sulla scia della vittoria dello scorso febbraio il Governo si sta muovendo a favore della scuola pubblica. In qualità di associazione avete già espresso la vostra soddisfazione per gli 11 milioni promessi per migliorare la scuola. Se non ci fosse stata la mobilitazione, che abbiamo conosciuto in sede di votazione popolare, secondo lei, il Consiglio di Stato sarebbe stato altrettanto sollecito?
Non lo credo. L’intensa campagna per la votazione popolare del 18 febbraio è certamente servita a diversi scopi: suonare un campanello di allarme intorno alla scuola pubblica: c’erano pur sempre state 25 mila firme a far riflettere su ciò che si poteva rimproverare alla scuola pubblica, su ciò che taluni avrebbero voluto di più, ecc.; mettere in evidenza una serie di problemi che nella scuola pubblica si erano aggravati anche a seguito della politica di risparmi degli anni Novanta; stimolare il Governo a una politica scolastica più aderente ai nuovi bisogni degli allievi e delle famiglie.
Secondo lei si tratta puramente di investimenti per migliorare la scuola oppure anche di un modo per riparare ai danni inferti dalle misure di risparmio attuate negli anni '90? Se ritenesse sensata questa ipotesi, ciò dovrebbe metterci in guardia dal cercare di risparmiare a discapito di un servizio centrale quale quello scolastico…
Anche di un modo per riparare i danni. La scuola non vive di soli soldi, ma i soldi sono essenziali: ogni sottrazione di fondi si ripercuote negativamente su qualche aspetto del sistema. I risparmi degli anni Novanta hanno diminuito i servizi erogati, aumentato i carichi per Comuni, famiglie e docenti; hanno quindi provocato un certo malcontento. L’Associazione per la scuola pubblica li ha denunciati a suo tempo come improvvidi. Per lo Stato occorreva segnare un’inversione di tendenza prima di tutto sul fronte degli investimenti proprio nel servizio scolastico, al quale i ticinesi hanno dimostrato di tenere in modo particolare.
Degli investimenti previsti (doposcuola, rinnovo delle attrezzature didattiche, monte ore, ecc.) quali ritiene prioritari e irrinunciabili?
Non li metterei in gerarchia: si tratta di interventi puntuali su alcuni aspetti che il dibattito aveva segnalato chiaramente. In qualche modo i più facili. Vorrei dire invece che in questo inizio di secolo (e di mondializzazione) se ne dovranno fare altri assai più difficili, perché più sostanziali. Ci metterei quelli che corrispondono ai gruppi di lavoro creati dall’Associazione: insegnamento linguistico complessivo, istruzione-educazione politica, così come religiosa, integrazione delle nuove tecnologie…
Delle tredici misure proposte alcune verranno trasformate in messaggio governativo e dovranno perciò avere il placet del Gran Consiglio. C'è di nuovo il rischio che la battaglia per la scuola pubblica rimanga una battaglia tra forze politiche contrapposte?
Mi auguro di no. Il Dic ha fatto bene ad andare un po’ incontro a chi frequenta scuole private (per bisogno o per scelta) con il pagamento di libri e quaderni ai privatisti dell’obbligo e con un certo allargamento dell’aiuto allo studio (art. 84 della Legge scuola). Indica una disponibilità, senza per questo far correre rischi alla scuola pubblica. I fautori delle scuole private dovrebbero rispondere con una disponibilità simmetrica a risolvere i problemi del 95 % degli allievi nell’ambito della scuola pubblica. Mi sembra che sia questa la volontà della maggioranza del 18 febbraio.
|