Come rispondere alle sfide del "nuovo mondo", quello che si è creato con i cambiamenti dell’economia e della società? Come rimettere al centro l’essere umano? Sul tema lavoro, scuola e formazione il Partito socialista ticinese dedica una giornata di studio, domani, sabato 9 giugno (al Canvetto luganese a partire dalle 9). In questo contesto la sinistra, il cui progetto di società si basa appunto sulla giustizia sociale, assume un ruolo di primo piano. Per presentare la giornata abbiamo intervistato Furio Bednarz e Giacomo Viviani, membri della direzione del Ps e responsabili del gruppo economia, lavoro e formazione.
Facciamo un passo indietro. Gli anni della crisi come hanno cambiato il modo di essere, la vita del lavoratore?
La chiave è quella dell’insicurezza: viviamo nell’incertezza — e nella solitudine — la nostra navigazione nella vita attiva. Questo vale anche nel Ticino uscito dalla crisi degli anni ’90. Le conseguenze sulle persone della crisi sono sul tappeto: 20.000 posti di lavoro perduti, la disoccupazione che ha sfiorato pochi anni fa il 9,5%, una precarizzazione occupazionale frutto della destrutturazione dell’impiego, con fenomeni di outsourcing, lavoro indipendente e atipico, diffusione del lavoro temporaneo e part-time. La ripresa si è accompagnata all’aumento dei working poors — dal 5% al 7,5% — dovuto alla crescente quota di lavoratori con impieghi precari. Si è anche cronicizzata la condizione di un certo numero di persone che vivono di assistenza. Dovendo sintetizzare possiamo dire che crisi più profonda del dopoguerra ha fatto tramontare l’idea di un futuro foriero di crescente benessere. Gli approcci neo-liberisti dividono ora più che mai coloro che dalla discontinuità e flessibilità hanno tutto da guadagnare (perché professionalmente forti e competitivi) dalle persone che hanno paura di scivolare alla prima inversione di tendenza nell’area del precariato e della povertà.
In quale misura l’economia è responsabile delle nuove forme di emarginazione?
Lo è perché il modo di produzione impone strutturalmente una condizione di insicurezza che mette in crisi, senza alternative condivise, i sistemi consolidati di welfare. Proprio la privatizzazione della previdenza ha messo del resto in circolo sul mercato mondiale enormi capitali in cerca di investimento accentuando la ricerca del profitto a breve cui è imputabile parte dell’attuale volubilità e instabilità dei mercati, e la conseguente perenne incertezza del futuro economico e sociale. L’economia chiede persone competenti e motivate, capaci di operare in gruppi e comunità coese ma al tempo stesso in grado di reggere alla competizione continua tra le "squadre" o nella comunità di appartenenza. Per contro l’economia ha anche bisogno di mettere al lavoro le risorse marginali: quando serve ritaylorizza la produzione e "valorizza", bloccandole nel precariato, le aree marginali di offerta di lavoro. Così la società si divide in competenti / competitivi (capaci di navigare nel mare liberista e di accedere pienamente alla cittadinanza post-fordista) e persone "a rischio di incompetenza", che vedono minacciata la loro posizione a ogni salto tecnologico e che vivono navigando a vista, privati progressivamente dell’accesso alla cittadinanza, incapaci di leggere la realtà e di utilizzare criticamente i sistemi di comunicazione globale dell’economia mondo.
La libera circolazione delle persone, i nuovi flussi migratori — che stanno, tra l’altro, modificando il volto dell’immigrazione in Svizzera — che impatto hanno o possono avere sul lavoro?
Disoccupazione e presenza di manodopera straniera sono state spesso evidenziate come un paradosso; molte forze politiche lo hanno cavalcato alimentando tendenze xenofobe. Si deve analizzare in modo oggettivo la situazione per capire quello che è il ruolo dell’immigrazione in Ticino. Veniamo al recente passato: le conseguenze della crisi sono state contenute proprio grazie all’esportazione parziale (ma assai massiccia) della disoccupazione. Il frontalierato è oggi in ripresa, ma si sta trasformando. Il futuro porterà ad una maggiore apertura del mercato del lavoro locale, ma si tratta di lavorare per riorientare le qualificazioni e per assicurare un accesso largo alle competenze, sia a favore della popolazione locale, sia delle componenti di immigrazione. Un isolamento di quest’ultime nelle fasce basse di impiego, o una loro marginalizzazione (pensiamo soprattutto a chi è giunto negli ultimi anni in fuga da condizioni sociali e politiche insostenibili), rischia di acuire le tensioni e alimentare la disgregazione invece dell’integrazione sociale.
La crisi occupazionale, la trasformazione del lavoro, hanno messo in primo piano il valore della formazione. Formazione come strumento di crescita ma anche come mezzo per restare agganciato al treno dell’economia e reinserirsi nel mercato del lavoro. In un mondo in cui i cambiamenti sono spesso radicali e repentini come può la formazione adattarsi alle nuove esigenze?
Le 12 tesi sulla formazione adottate dal Ps nazionale e le analisi sulla situazione ticinese che saranno discusse sabato potranno meglio focalizzare il quadro di riferimento per l’azione di una politica progressista e moderna del lavoro e della formazione e una prima serie di risposte praticabili. La sintesi delle risposte che i socialisti svizzeri e ticinesi vogliono contribuire a fornire, in alleanza con altre tendenze politiche e i settori della società e dell’economia che credono nella centralità di donne e uomini nei processi di sviluppo e cambiamento in corso, è riassumibile nello slogan della giornata: "lavoro, scuola e formazione: motori di sviluppo e di giustizia sociale". La scuola e la formazione non rappresentano in sé la soluzione ai problemi che l’economia e la politica messa al suo servizio generano ma possono risultare strumenti, se non in assoluto vincenti, di risposta più puntuale e adeguata: ne fa stato la minore esclusione delle persone più formate di cui abbiamo già parlato.
Quali sono le richieste di aiuto lanciate da un lato da chi ha vissuto sulla propria pelle l’impatto della crisi e, dall’altro, delle giovani generazioni che, con il lavoro, hanno un altro rapporto? E quali risposte può dare la sinistra?
Coloro che possono ragionevolmente affermare di sentirsi a loro agio nel contesto neo-liberista sono probabilmente sempre meno, ma non è per nulla compatto il fronte di quelli che subiscono le conseguenze negative dell’evoluzione in atto. Tra quest’ultimi ci sono le persone che preparano un’uscita "dolce" dal mercato del lavoro (anziani, donne, ma anche stranieri che rientrano nel paese di origine), e le persone che subiscono l’emarginazione. I fattori di esclusione sono vari: l’assenza di qualifiche spendibili, come il disorientamento di cui sono vittime parte dei giovani scolarizzati. Anche quando non si verifica la caduta nelle dipendenze (alcool, droghe) o nella depressione, presto viene l’assuefazione all’assistenza. Una risposta politica deve partire dai fattori di rischio: si tratta di dare una chance a chi ha avuto lavori usuranti, che non sarà la stessa di chi ha avuto alle spalle esperienze non professionalizzanti e viene espulso dall’impiego. Non sempre la riabilitazione passa attraverso il lavoro e la formazione, ma per le persone senza qualifica e per quelle in difficoltà a riorientare le loro competenze si tratta di intervenire prima che lo scoraggiamento determini la sfiducia nelle possibilità di recupero, ed è importante favorire l’accesso alla formazione. Il trionfo della flessibilità dell’impiego impone anche di trovare alternative alla carriera come sede un tempo privilegiata di perfezionamento. Quale politica di sinistra per affrontare fenomeni così complessi? Rimettiamo l’uomo e la comunità, con la sua rete di relazioni sociali, al centro della riflessione. Servono nuove forme mutualistiche, che ridiano sicurezza, aiutando le persone a progettare il loro futuro e accedere ai diritti di cittadinanza. L’azione sociale deve intrecciarsi con le politiche economiche, del lavoro e della formazione: va esteso il dialogo sociale, vanno ridiscusse le logiche assicurative (rapporto tra costi, entità del rischio e prestazioni) che oggi regolano il funzionamento delle politiche socio-economiche, vanno sperimentati interventi a sostegno del reinserimento sociale attraverso la promozione dell’autonomia delle persone, si deve sostenere l’accesso delle persone a debole qualificazione alla formazione permanente.
I socialisti ticinesi intendono impegnarsi per più valore sociale nell’economia globale. Come? In che modo?
Lo slogan "più valore sociale, nell’economia globale" riassume una scelta politica che vuole dare reale applicazione ai concetti di sviluppo sostenibile e socialmente compatibile. Per quanto concerne gli interventi a sostegno dell’economia e del lavoro ci pare che le priorità strategiche possano essere riassunte in tre obiettivi: scommettere sull’infrastrutturazione intelligente del territorio, rafforzare il capitale umano e le risorse imprenditoriali locali, sviluppare le pratiche della concertazione e della negoziazione al fine di controllare gli impatti sociali delle trasformazioni in atto, contrastare i rischi di esclusione e favorire l’attuazione delle stesse politiche formative. La formazione di base e continua - e lo chiariremo sabato - va rivendicata come diritto praticabile e non solo dovere imposto dai tempi.
|