Profughi di un dio minore

«Questi rifugiati (ucraini, ndr) non vanno messi nello stesso calderone, e nemmeno mischiati logisticamente, con i migranti economici “in arrivo da altre culture” che non scappano da nessuna guerra» ha scritto sulla sua pagina internet il consigliere nazionale leghista Lorenzo Quadri, il terzo eletto per numeri di voti ricevuti dai ticinesi.

Afghanistan, Siria ed Eritrea. Da questi Paesi provengono 30mila dei 46mila rifugiati attualmente registrati in Svizzera, sia riconosciuti sia ammessi provvisoriamente. La popolazione del paese asiatico convive con la guerra da mezzo secolo, il paese mediorientale invece è dilaniato da un conflitto interno da un decennio, mentre il paese africano è stato in guerra con la vicina Etiopia per quasi quarant’anni e nel Paese vige la dittatura del partito unico al potere da un quarto di secolo.


Per poter raggiungere la Svizzera, buona parte dei rifugiati ha affrontato dei viaggi durati anni in condizioni difficilmente immaginabili. Respingimenti, incarceramenti, violenze, fame e freddo sono stati “compagni di viaggio” per molti di loro. In tanti non ce l’hanno fatta. Nel solo Mar Mediterraneo, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha stimato che negli ultimi otto anni siano morte quasi 20mila persone.


Prosegue il consigliere nazionale Quadri nel suo ragionamento: «Per accogliere e aiutare i profughi ucraini servono spazi e soldi. Questo vuol dire che è tempo di rimandare a casa loro un po’ di migranti economici con lo smartphone: costoro mungono abusivamente risorse destinate ai veri perseguitati. La scusa dei voli di rimpatrio impossibili a causa dello stramaledetto virus cinese è caduta. In Svizzera ci sono quasi 50mila stranieri con lo statuto di ammessi provvisoriamente. La posizione di costoro va esaminata con attenzione. In vista, ovviamente, di un rimpatrio».

 

L’opinione di Quadri non è isolata. A Berna il politico ticinese siede nel gruppo dell’Udc, il maggiore partito nazionale grazie ai voti ricevuti da un quarto dell’elettorato elvetico. Quelle di Quadri sono dunque visioni politiche condivise da una parte importante di cittadinanza nel Paese, la cui possibilità di tradursi in atti concreti è tutt’altro che remota.

Trasferimenti in corso?
Alcune recenti notizie potrebbero esser interpretate quali primi segnali dell’attuazione. «Devono lasciare il posto agli ucraini» ha titolato il quotidiano ginevrino Le Courrier il 20 marzo, riferendo che ai 370 richiedenti l’asilo residenti nell’alloggio collettivo di Rigot è stato intimato l’ordine di traslocare in una settimana per far posto ai nuovi profughi. La deputata Françoise Nyffeler ha inoltrato un’interrogazione al governo cantonale sull’accaduto. «Certo che bisogna trovare un posto agli ucraini, ma non a detrimento degli altri rifugiati» ha dichiarato al giornale la deputata.


In Ticino, l’avvocata Immacolata Iglio Rezzonico che segue diversi casi di richiedenti l’asilo, nelle scorse settimane si era detta preoccupata da alcuni recenti casi di rimpatri forzati o rinvii Dublino che potrebbero indicare un’accelerazione di espulsioni. Al portale Naufraghi.ch, l’avvocata ha precisato di non avere prove di una volontà sistematica di accelerare i rinvii, ma di aver maturato dei sospetti a seguito di segnalazioni o casi personali da lei seguiti.


Al momento, non si hanno riscontri numerici di una tendenza in corso. Le statistiche mensili della Sem in materia si fermano a febbraio. La guerra è iniziata il 24 febbraio. Non è dunque possibile verificare numericamente se vi sia una crescita dei rimpatri allo stadio attuale. «Effettivamente è una questione importante che ci preoccupa – risponde ad area Sophie Guignard, segretaria dell’organizzazione Solidarité sans frontières (Sosf) –. Allo stadio attuale, la stiamo monitorando non avendo ancora una visione d’insieme completa». Augenauf, gruppo che da anni monitora i casi dei richiedenti, con particolare attenzione ai rimpatri forzati in partenza dall’aeroporto di Zurigo-Kloten, dichiara di non avere registrato finora un incremento di queste procedure.
 
L’emergenza, quella vera
Il leghista Quadri ha ragione quando evidenzia che per accogliere e assistere i profughi ucraini servono spazi e soldi. La fuga in massa dei cittadini ucraini dall’orrore causato dall’invasione ordinata dal presidente russo Putin, è un evento eccezionale nel Continente per portata. Al momento di andare in stampa, quattro milioni di ucraini sono stati costretti ad abbandonare il paese. Numeri di vera emergenza, di gran lunga superiori al “normale” flusso di profughi in arrivo in Europa, ben lontani dalla narrativa emergenziale proclamata da una parte politica.


L’emergenza dei profughi ucraini è un evento eccezionale a cui la popolazione svizzera ha risposto in modo altrettanto eccezionale, dimostrando enorme solidarietà. Le autorità elvetiche, pur rispondendo rapidamente, sono comprensibilmente confrontate con le difficoltà dettate dall’urgenza di fornire accoglienza all’alto numero di profughi ucraini. Quale primo provvedimento, le autorità elvetiche hanno concesso loro il permesso S, un permesso di soggiorno concepito durante la guerra dei Balcani, ma finora mai applicato.


Il permesso S conferisce immediatamente il diritto di soggiorno di un anno, prorogabile, prevede il ricongiungimento familiare e da subito i beneficiari possono esercitare un’attività lucrativa, viaggiare all’estero e rientrare in Svizzera senza dover informare le autorità.

 

Diritti che i richiedenti l’asilo possono ottenere solo dopo diversi anni, se e quando riconosciuti formalmente quali rifugiati. «Il trattamento differente tra profughi ucraini e di Paesi terzi dipende dalle leggi diverse a cui sono sottoposti. La distinzione parte dalla legge, l’applicazione è la conseguenza» spiega ad area Mario Amato, direttore di Sos Ticino. In estrema sintesi, del diritto all’asilo possono beneficiare i singoli individui che riescono a dimostrare di essere personalmente perseguitati nel loro Paese. Il permesso S invece conferisce dei diritti a un’intera comunità in pericolo, come nel caso dell’invasione russa in Ucraina. La guerra afgana o quella siriana non hanno lo stesso valore di quella ucraina per le autorità elvetiche. Una distinzione giuridica che può essere mal compresa da chi la vive in prima persona, confortando l’idea dell’esistenza di rifugiati di serie a e di serie b.


Paradosso per paradosso, in Ucraina vi abitavano cinquemila richiedenti l’asilo, di cui la metà già riconosciuti. Anche loro sono dovuti scappare dalla tragedia innescata dall’invasione russa. Amnesty International ha chiesto alla Svizzera di estendere loro il permesso S, «facendo sì che l’accesso alla procedura d’asilo rimanga aperto per chi desidera presentare domanda». Le attuali disposizioni legali del permesso S infatti impediscono ai beneficiari di chiedere asilo per cinque anni. Un corto circuito giuridico per dei rifugiati già riconosciuti e ora improvvisamente privati dello statuto perché costretti a fuggire da una guerra nel paese d’accoglienza.


La Coalizione dei giuristi indipendenti per il diritto all’asilo, congratulandosi con le autorità per aver dato prova di flessibilità nel caso dei profughi ucraini, ha formulato delle raccomandazioni per migliorare in maniera duratura la procedura d’asilo in Svizzera per tutte le persone bisognose di protezione. Tra queste, l’accesso alla formazione e al lavoro, la presa in conto delle relazioni esistenti al momento dell’attribuzione ai Cantoni e la possibilità di accoglienza in strutture private.

Il razzismo, un male europeo
Naturalmente, il trattamento diverso a rifugiati di una guerra piuttosto di un’altra, non è una prerogativa elvetica, ma è ben diffuso in tutta Europa.

 

Nel caso del conflitto ucraino, lo si è visto fin da subito. Soldati ucraini impedivano agli studenti africani di salire sui treni per sfuggire all’orrore della guerra, mentre le guardie di confine polacche separavano al loro arrivo con la lettera N i profughi non bianchi in fuga dalla guerra in Ucraina. Dopo le prime denunce formulate da diversi Stati africani, a richiamare le autorità ucraine e polacche è intervenuto Filippo Grandi, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, denunciando «l’inaccettabile realtà affrontata da alcune persone di colore in fuga dall’Ucraina – e da altre guerre e conflitti in tutto il mondo – che non hanno ricevuto lo stesso trattamento dei rifugiati ucraini».


A inizio conflitto, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki affermò: «Siamo pronti ad accettare decine, centina di migliaia di profughi ucraini». Lo scorso ottobre, lo stesso Morawiecki annunciava di voler utilizzare i fondi Ue per costruire dei muri antiprofughi.  


Nella sua drammaticità, la guerra ucraina mette a nudo le ipocrisie della solidarietà umana.

Pubblicato il

07.04.2022 14:42
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