Parla l’ispettore del lavoro dell’Associazione interprofessionale di controllo, intervistato su area del 26 novembre 2004, pag. 3: «È incredibile, la maggior parte dei lavoratori distaccati [cioè la manodopera estera che è possibile impiegare liberamente in Svizzera a partire dal 1° giugno 2004 grazie agli accordi bilaterali con l’Unione europea, ndr], direi quasi il 90 per cento, non conoscono i loro diritti e la regolamentazione del lavoro in Svizzera. Molti restano allibiti quando gli dico quale stipendio dovrebbero percepire qui. Alcuni dovrebbero prendere anche il triplo di busta paga, solo che non lo sanno. Non dico che c’è malafede da parte del datore di lavoro, ma di sicuro molta ignoranza (...)». A proposito di ignoranza: qualcuno riesce a immaginare un datore di lavoro così ignorante che, non conoscendo la regolamentazione del lavoro in Svizzera, paga tre volte di più i propri dipendenti? La messa in concorrenza dei lavoratori fra di loro serve ad abbassare il costo del lavoro. Hanno provato in tutti i modi: fargli sparare contro dall’esercito (come a Zurigo nel 1917, a Basilea nel 1919, a Ginevra nel 1932), finanziare sindacati gialli, cooptare il partito socialista nel governo, costruire partiti xenofobi e populisti, da ultimo le campagne per convincerci che il problema sono le tasse troppo alte e non i salari troppo bassi. È ormai divenuto un dogma che gli stipendi in Svizzera sono troppo alti e sarebbero la causa della scarsa concorrenzialità della nostra economia sul piano internazionale. Gli insegnanti sono convinti che il loro stipendio sia esageratamente alto, e se lo riducono volontariamente; i contadini passano il tempo a domandarsi se non pretendono troppo a voler guadagnare qualcosa vendendo il latte; i camerieri non osano chiedere il carovita per il timore di mandare in rovina il povero Corrado Kneschaurek; i bancari prendono l’esaurimento nervoso nel tentativo di meritarsi lo stipendio a fine mese; i sindacati sono invitati a farsi interpreti della volontà della base che chiede di diminuire i salari (non è una barzelletta, accade nelle assemblee sindacali in Svizzera nel 2004). Sono riusciti a creare i lavoratori poveri nel paese più ricco del mondo. L’Ufficio federale di statistica comunica che le persone che pur avendo un lavoro a tempo pieno vivono nella povertà sono 231 mila, e vivono in 137 mila famiglie composte da 513 mila persone, di cui 233 mila bambini. In Ticino le persone che non riescono più a vivere con il proprio salario sono il 12,6 per cento della popolazione attiva. Questo mentre Mauro Dell’Ambrogio afferma in Gran Consiglio che il principale problema del Ticino è di «vivere al di sopra delle proprie possibilità». Ma insieme con l’acqua sporca hanno gettato anche il bambino. Per ridurre il lavoro salariato a una variabile dipendente dal profitto hanno dovuto distruggere tutto quanto è stato creato dai lavoratori in un secolo di storia. Quindi via il comunismo, via il socialismo, via il cristianesimo progressista, via la socialdemocrazia e le assicurazioni sociali e, già che ci siamo, via anche la cultura. E ci ritroviamo con i menostatisti, i leghisti, i cacciatori, gli asfaltatori, i ciellini, i pescatori, i casinò, i maghi, i venditori di padelle, gli oroscopi, le tombole e i mercatini di Natale per comprare e venderci miseria l’uno all’altro. È scomparsa anche quella geniale intuizione liberale, il keynesismo, che aveva scoperto che l’economia capitalistica funziona solo se i lavoratori ricevono un salario sufficiente ad acquistare i prodotti del proprio lavoro. Il potere d’acquisto dei salariati trainava infatti la produzione dei beni di consumo. Oggi nessun operaio dell’edilizia può permettersi di comprare, con il salario percepito costruendo un metro cubo di muro, lo stesso metro cubo, perché il prezzo di vendita di quel muro comprende, oltre al suo salario e alla remunerazione del capitale, anche la speculazione finanziaria, ossia lo stipendio di quelle persone che gli vengono a dire ogni giorno che il suo salario è troppo alto. Si producono in sostanza solo merci destinate alle persone abbienti, come nell’economia pre-industriale. Stiamo ritornando all’Ancien Régime, con i suoi tessuti preziosi, le spezie, i marmi rari, l’arte per il collezionismo, gli oggetti di lusso. Forse perché ci vergogniamo, li chiamiamo prodotti di nicchia.

Pubblicato il 

03.12.04

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