Prima udienza d'appello a Torino

Le mosse di Schmidheiny e la risposta delle vittime

«È molto importante la partecipazione per non dimenticare e per essere presenti sempre di fronte al grande lavoro dei magistrati di Torino. La lotta non è finita, abbiamo ancora tanto da lavorare per giustizia, ricerca e bonifica. Incito tutti a non mollare e a partecipare come sempre alla lotta fino a non dover più soffrire per l’amianto». Romana Blasotti Pavesi, 83 anni, cinque famigliari uccisi dalla fibra killer dispersa negli ambienti di lavoro e di vita dall’Eternit di Casale Monferrato nonché presidente della locale associazione delle vittime, lancia questo invito in vista dell’apertura, giovedì prossimo a Torino, del processo d’appello per gli oltre tremila morti causati in Italia dalle attività industriali della multinazionale svizzero-belga.

 

Processo che vede imputati gli ex massimi dirigenti dell’Eternit: il barone belga Jean Louis De Cartier e il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, entrambi condannati un anno fa in primo grado a 16 anni di carcere per omissione delle misure anti-infortunistiche sui luoghi di lavoro e per disastro ambientale doloso permanente, nonché al risarcimento dei danni. Loro però non si presenteranno davanti alla Corte d'appello di Torino: non hanno del resto mai accettato alcun confronto con i giudici e i magistrati italiani chiamati a far luce sul loro passato di imprenditori senza scrupoli che alla salute degli operai e dei cittadini hanno sempre anteposto il profitto.


Le loro sono storie di uomini in fuga, soprattutto quella di Stephan Schmidheiny, colui che era alla testa di Eternit quando gli stabilimenti italiani furono chiusi (su auto-istanza di fallimento) e abbandonati precipitosamente, sen-za affrontare il problema della bonifica e anzi lasciando sul territorio tonnellate e tonnellate di amianto, infischiandosene del futuro dei lavoratori che erano rimasti in azienda e delle loro famiglie e lasciando dietro di sé una lunga scia di malati e di morti. Oggi il magnate svizzero vive in Costa Rica e si vende come filantropo impegnato in favore di uno sviluppo sostenibile in America Latina. Nelle sue rare interviste (rilasciate solo a giornalisti compiacenti) non vi è mai un accenno agli affari e ai malaffari compiuti come industriale dell'amianto.


Di questo capitolo della sua vita si occupano solo i suoi avvocati, che anche nell'imminente processo di appello sembrano avere come obiettivo primario quello di guadagnare tempo, di procrastinare il più possibile un eventuale verdetto definitivo di condanna che renderebbe concreta la possibilità di un ordine di cattura per il loro cliente. La richiesta di una «revisione totale della sentenza di primo grado» è motivata con un voluminoso documento di oltre 600 pagine, in cui tra l'altro si fa riferimento a una «virulenta campagna di stampa» che avrebbe turbato la serenità dei giudici, si ripropongono questioni (già sollevate e chiarite in primo grado e in sede di udienza preliminare) come la legittimità costituzionale del processo o la competenza territoriale dei giudici di Torino (perché Eternit Italia aveva sede a Genova). Ma non solo: gli avvocati di Schmidheiny affermano pure che il Tribunale di prima istanza, vista la gravità dei reati contestati, non aveva titolo per pronunciarsi e quindi il processo sarebbe da rifare da capo davanti a una Corte d'assise (composta non solo da giudici togati ma anche da quattro giudici popolari).


«Si tratta di una curiosa interpretazione di una norma del Codice di procedura penale», commenta il professor Davide Petrini, legale di parte civile. «Della questione, che viene sollevata per la prima volta, discuteremo sicuramente già nelle prime udienze dell'Appello, ma come difensore di parte civile non sono molto preoccupato».
Professor Petrini, la sentenza di primo grado imponeva agli imputati di pagare immediatamente parte dei risarcimenti dovuti alle vittime (per una somma di circa 115 milioni di franchi), ma entrambi si sono sin qui rifiutati di farlo. In che misura il processo d'appello può aiutare a ottenere il pagamento di queste provvisionali?
Premesso che da un lato non c'è stato un pagamento spontaneo da parte degli imputati e che dall'altro per le parti civili, in particolare quando si tratta di privati cittadini (e non di istituzioni), è molto difficile immaginare azioni esecutive in Svizzera e in Belgio (che avrebbero costi spropositati) è chiaro che una conferma in Appello della condanna e delle provvisionali potrebbe avere un effetto sugli imputati. Per loro si avvicinerebbe infatti il momento di una sentenza definitiva e della sua esecuzione.


Ci si possono dunque attendere delle offerte di transazione da parte degli imputati già nel corso del processo?
Sì, le offerte potrebbero giungere, ma non credo nel corso del processo d'appello, che sarà molto breve e che potrebbe concludersi già nel giro di un paio di mesi.

 

Casale Monferrato si prepara a una nuova battaglia

Intanto però, l'Associazione dei familiari delle vittime e il Comitato vertenza amianto di Casale Monferrato, la “città martire” dove l'Eternit ha già ucciso duemila persone e dove ogni anno si registrano una cinquantina di nuove diagnosi di mesotelioma (il tipico cancro da amianto che purtroppo non dà scampo), proseguono con tenacia la loro battaglia per la giustizia. Negli ultimi mesi la questione del mancato pagamento delle prov-
visionali da parte di Schmidheiny e De Cartier è stata, insieme con le battaglie per la bonifica del territorio e per la ricerca sul mesotelioma, «al centro delle nostre preoccupazioni», afferma il coordinatore del comitato Bruno Pesce rivendicando l'aiuto dello Stato italiano: «Gli imputati si rifiutano di applicare la sentenza, forti delle nostre difficoltà e dei costi elevatissimi che comporta per noi il recupero dei loro beni all'estero. In sostanza il loro messaggio alle vittime è questo: “Se siete capaci venite a prenderveli i soldi”. Di fronte a questo, lo Stato italiano ha il dovere di intervenire e patrocinare i propri cittadini nelle operazioni giudiziarie necessarie, magari adottando un provvedimento legislativo ad hoc. Non credo sia un disonore per uno stato democratico far valere una sentenza in favore delle vittime di reati così devastanti come quelli commessi dai dirigenti della Eternit», commenta Bruno Pesce, auspicando che tutto questo avvenga in fretta, entro la conclusione del processo d'appello.


Un processo che la comunità di Casale Monferrato seguirà in massa, così come ha sempre fatto durante quello di primo grado. Il 14 febbraio si terrà un presidio davanti alla sede del Tribunale di Torino, dove saranno presenti anche delegazioni di altre città italiane e straniere. «Prevediamo una partecipazione notevole», conferma Bruno Pesce: «Del resto, il popolo, i lavoratori, i cittadini cosa possono contrapporre allo strapotere di una politica che ha visto solo il dato del profitto e ha messo sotto i piedi persino la vita dei lavoratori e dei cittadini? Cosa possiamo fare se non partecipare e continuare questa battaglia? A chi non c'è più non possiamo dare altro che un po' di giustizia, forti anche dell'impegno dei tanti amici e compagni che abbiamo trovato al di là delle frontiere italiane. E a questo proposito mi consenta in conclusione di sottolineare come l'impegno, la consapevolezza, la sensibilità e la coerenza manifestate da realtà come il sindacato Unia in Svizzera o da questo stesso giornale rendano tutti più forti. La democrazia non è altro che partecipazione e in questi casi la partecipazione non è altro che la lotta».

 

Pubblicato il

14.02.2013 14:30
Claudio Carrer