Per la prima volta, in Svizzera, una persona è stata condannata per tratta di esseri umani impiegati nei cantieri elvetici. La sentenza, destinata a far giurisprudenza nel campo, è stata emessa a Ginevra contro un imprenditore lituano per aver impiegato dei lavoratori retribuendoli a paghe orarie variabili tra i 20 centesimi e i 6,50 franchi, imponendo loro condizioni di lavoro illegali, tra cui giornate lavorative infinite, festivi compresi. L’imputato è stato condannato a sei anni di prigione da scontare. Non solo paghe indecenti, ma pure condizioni di vitto e alloggio indegne. L’imprenditore alloggiava i dipendenti ammassandoli in un deposito magazzino, dando loro un minimo di sussistenza alimentare con la promessa di pagarli a fine lavori, mai mantenuta integralmente. Complessivamente, nell’arco di quattro anni (2013-2017) in cui è stato operativo prima di essere arrestato, l’imputato aveva impiegato circa centocinquanta persone, ma solo una ventina di casi sono stati identificati, di cui undici hanno inoltrato denuncia. L’imprenditore operava in una particolare nicchia di mercato, quella dei proprietari svizzeri di chalet o di ville, intenzionati a riattarli per poi rivenderli a facoltosi stranieri. Non si appoggiava dunque su imprese generali di costruzione, attraverso i famigerati subappalti, ma lucrava su mandato diretto del cliente. Lavorando nei piccoli cantieri, i suoi operai entravano raramente in contatto coi dipendenti di altre imprese. Ma questo non gli impedì d’incorrere in alcuni controlli, dove gli furono contestate diverse irregolarità. «Il dato saliente della vicenda è che questa persona abbia potuto operare in maniera indisturbata per un lungo periodo impiegando centinaia di operai, nonostante abbia subito dei controlli dove emergevano diverse irregolarità» spiega l’avvocato Olivier Peter, rappresentante legale di una delle vittime al processo tenutosi davanti alle Correzionali di Ginevra a inizio aprile. «Già nel festivo Lunedì di Pasqua del 2014, gli ispettori trovarono in un suo cantiere tre operai lettoni, di cui uno sprovvisto di permesso. L’ispettorato gli scrive, lui contesta e la pratica va avanti senza ripercussioni perché lui smette di rispondere. A questo episodio ne seguiranno altri simili, a dimostrazione del senso d’impunità vissuto dall’impresario». Solo la segnalazione alla Procura del Centro sociale protestante di Ginevra (da sempre molto attivo nelle questioni migratorie e a cui si era rivolto uno degli operai) e la successiva indagine della Brigata sulla tratta degli esseri umani della polizia ginevrina, hanno posto fine alla carriera criminale del giovane imprenditore. A Ginevra infatti, esiste da qualche tempo una speciale sezione della polizia cantonale, istituita appositamente per contrastare la piaga anche nell’ambito lavorativo. «Nel caso dell’imprenditore, gli indizi della tratta esistevano da tempo, ma non sono stati intercettati e identificati come tali dalle diverse autorità cantonali» osserva l’avvocato Peter. Nel suo agire criminale, l’imprenditore aveva annunciato alle autorità gran parte dei suoi operai come lavoratori distaccati (permesso di 90 giorni di lavoro in Svizzera per lavoratori di aziende estere), pur non essendoli nella realtà. «Nessun funzionario cantonale si è domandato come mai quest’impresario utilizzasse tanti operai distaccati per dei brevi periodi e dove si procurasse tanta manodopera» annota Peter. Il problema di fondo, rileva il legale, è l’incapacità del sistema di identificare taluni sfruttamenti esistenti nel mondo del lavoro quali violazioni dell’articolo 182 del Codice penale, ossia il reato della tratta di essere umani. In Svizzera, sono solo sei i casi in cui i tribunali si sono occupati del reato di tratta, quasi tutti legati allo sfruttamento sessuale. Solo in un caso il Tribunale federale si era espresso sulla tratta legata all’ambito lavorativo, prosciogliendo il datore di lavoro. «Il reato di tratta implica l’esistenza di lavoro forzato – spiega l’avvocato Peter – e nei tribunali prevaleva la tesi: “I lavoratori non erano schiavi incatenati, potevano andarsene”. Poi arrivò la sentenza della Corte europea dei diritti umani (Cedu) nel caso di braccianti stranieri sfruttati nei campi greci. La Cedu ha stabilito che le catene dei braccianti fossero l’assenza di documenti e di mezzi finanziari per andarsene. Il giudice ginevrino ha dunque dovuto integrare il verdetto sui braccianti in Grecia alla nostra causa locale, emettendo così una sentenza storica per la Svizzera». Farà scuola? In Ticino, dove ormai da tempo i tribunali si occupano di sfruttamento nell’ambito lavorativo, ci si è sempre riferiti al reato di usura invece della tratta di esseri umani. Quale sia la differenza tra i due reati, la chiediamo all’avvocato Peter. «In sintesi, l’usura protegge il patrimonio della vittima, mentre la tratta protegge la sua libertà. È dunque considerato un reato molto più grave. Inoltre, il riconoscimento del reato di tratta, presuppone una serie di misure a tutela delle vittime, che l’usura invece esclude. Ad esempio, per la vittima significa avere un permesso di soggiorno per la durata del procedimento o il diritto all’alloggio, al vitto e la protezione sanitaria. Misure finalizzate a impedire che la vittima si trovi in una situazione peggiore di quando era sfruttata. Sia l’usura che la tratta prevedono un risarcimento del danno economico subito, ma nel caso della tratta è previsto che, qualora fosse impossibile recuperare i soldi dal condannato, sia lo Stato a farsene carico, attingendo a un fondo d’indennizzo per le vittime. L’usura è certamente più facile da provare, ma la pena è molto più lieve, così come la protezione delle vittime». Dopo la prima sentenza ginevrina, è possibile che le varie Procure cantonali ricorreranno più spesso all’incriminazione per il reato di tratta nello sfruttamento lavorativo. È più probabile, ma non scontato. Se in Svizzera l’arsenale penale per contrastare e sanzionare l’odioso crimine dello sfruttamento dei lavoratori esiste, a far difetto tra inquirenti e controllori è la consapevolezza di averlo e farne uso. Secondo l’avvocato Peter, per poter fare un balzo sociale contro la tratta degli esseri umani finalizzata allo sfruttamento nell’ambito lavorativo, la questione è politica, nella scelta delle priorità di lotta al crimine. «La soluzione sarebbe avere una politica penale favorevole ai diritti delle persone più vulnerabili, con una spiccata attenzione nel contesto lavorativo, rafforzando i meccanismi sul territorio in grado d’identificare e punire adeguatamente chi si macchia di questo delitto. Il fatto che un delitto tanto grave quanto la tratta di esseri umani non sia considerato prioritario e venga ignorato per anni, è l’esatto opposto di quanto andrebbe fatto e ben dimostra le sensibilità politiche dominanti nel Paese».
|