Prima i bisogni della gente

Nella ricca Svizzera i pensionati godono di rendite sufficienti per pagare i costi fissi mensili come l’affitto, l’assicurazione malattie o le imposte e magari per concedersi qualche hobby, attività del tempo libero oppure una vacanza? Certamente no e la situazione si sta facendo, ormai da anni, sempre più precaria. L’Avs non basta per vivere e le rendite della previdenza professionale (il cosiddetto 2° pilastro) sono in caduta libera: si pensi che una persona che andrà in pensione nel 2025 percepirà il 20 per cento in meno di una che ci è andata nel 2010, con il medesimo capitale.

 

A pagare il prezzo più elevato sono le donne, le cui pensioni sono di oltre un terzo inferiori a quelle degli uomini: una su tre deve accontentarsi di meno di 2.000 franchi al mese e in generale con il pensionamento vedono accentuarsi le discriminazioni già vissute durante la vita professionale con retribuzioni del 20 per cento inferiori rispetto a quelle degli uomini che svolgono lo stesso identico lavoro.


Logica vorrebbe che un Parlamento chiamato a varare una riforma del sistema pensionistico parta da questi dati, che descrivono dei bisogni reali della gente, per elaborare i contenuti delle relative leggi. In concreto, la priorità dovrebbe essere quella di riparare alle ingiustizie del sistema che colpiscono soprattutto le donne e, in generale, di rafforzare la nostra sicurezza sociale. Con la (contro)riforma Avs 21 che sta per essere varata dalle Camere federali, la maggioranza borghese fa l’esatto contrario sferrando un attacco senza precedenti al principale pilastro della previdenza per la vecchiaia in Svizzera. “Smantellamento” è la parola d’ordine.

 

Invece di aumentare le rendite e dunque la qualità di vita degli anziani ed eliminare le odiose discriminazioni descritte, si fa un’operazione di ristrutturazione finanziaria da 10 miliardi di franchi sulle spalle delle donne: l’innalzamento da 64 a 65 anni dell’età pensionabile non è infatti null’altro che un’ulteriore riduzione delle loro rendite del 5,6 per cento! Oltre che l’anticamera di un aumento generalizzato della durata della vita lavorativa per tutti a 67, 68 o 70 anni.


Queste decisioni sono figlie di una visione che antepone le ragioni degli economisti e degli esperti di demografia ai bisogni primari delle persone: ai loro occhi, l’unico modo per fronteggiare l’aumento della speranza di vita e dunque lo scarto crescente tra numero di beneficiari di una pensione e popolazione attiva (con le relative ripercussioni finanziarie) è quello di maltrattare e impoverire i pensionati. E quelli che se lo possono permettere si assicurino una vecchiaia serena con la previdenza privata!


Tutto semplicemente inaccettabile. La gente è stufa di lavorare sempre più a lungo, pagare sempre più contributi e ricevere pensioni sempre più misere. Lo hanno scandito a gran voce i 15.000 che sabato scorso, nonostante le restrizioni e le paure legate alla pandemia, sono scesi in piazza a Berna per protestare contro gli attacchi alle pensioni e per pretendere il dovuto, cioè un aumento delle rendite e più in generale un miglioramento delle prestazioni pensionistiche, per esempio come una 13esima Avs come chiede un’iniziativa dell’Unione sindacale. Un segnale forte e inequivocabile alla destra del Parlamento (che ovviamente resterà sorda) e un antipasto di quella che sarà l’opposizione dei sindacati, della sinistra, del movimento femminista e delle forze sociali e progressiste del paese quando si tratterà di mobilitarsi per il referendum contro Avs 21, che peraltro è una brutta copia delle controriforme già bocciate dal popolo nel 2008 e nel 2017.

Pubblicato il

23.09.2021 13:03
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