Giovani e lavoro

Stiamo assistendo ovunque a un aumento della precarietà e della povertà, la pandemia sta mettendo al tappeto chi prima ce la faceva a fatica. I giovani, che già negli scorsi anni stentavano a trovare un posto di apprendistato o un lavoro dopo la formazione, con interi settori colpiti più o meno duramente da questa crisi pandemica, si trovano di fronte a un ulteriore ostacolo e non tutti reggono il colpo.

La Francia a inizio dicembre ha lanciato l’allarme: con il secondo confinamento più di un milione di persone sono passate sotto la soglia della povertà e la metà di questi nuovi poveri sono giovani. Particolarmente in crisi sono gli universitari, che non potendo più svolgere quei lavori part-time che permettevano loro di mantenersi agli studi, si ritrovano senza soldi e così in alcuni campus universitari è stata organizzata una distribuzione quotidiana di cibo.

In Svizzera forse non siamo ancora a questi livelli, ma anche qui la disoccupazione giovanile è in aumento (lo era già prima della pandemia) e l’asticella per accedere ad un posto di apprendistato o di lavoro è sempre più alta: chi non possiede una buona licenza scolastica, ha un background migratorio o soffre di problemi psichici, fa più fatica e corre un rischio maggiore di interrompere la formazione professionale o di non trovare nessun posto dopo l’apprendistato.


Secondo un documento pubblicato dalla Seco a fine ottobre, i giovani e i giovani adulti, pur essendo più facilmente vittime della disoccupazione, trovano anche più velocemente un impiego appena l’economia si riprende. Questo basterebbe a giustificare le condizioni più severe e discriminanti per loro nell’accedere alla disoccupazione: «Per questa categoria di persone, infatti, la durata massima del diritto all’indennità giornaliera è ridotta rispetto ai disoccupati più anziani, le eccezioni relative ai periodi di attesa vengono spesso soppresse e l’obbligo di accettare un’occupazione adeguata è più severo rispetto alle altre classi di età», si legge. In concreto questo significa che i disoccupati di età inferiore ai 25 anni e senza obblighi di mantenimento nei confronti di figli hanno diritto al massimo a 200 indennità giornaliere, mentre le persone che sono esonerate dall’obbligo di versare contributi in seguito a formazione beneficiano di 90 indennità giornaliere al massimo. Inoltre, le persone di età inferiore ai 30 anni sono tenute ad accettare un impiego anche se questo non è in relazione con la loro professione. Nel mese di ottobre 2020 questo si traduceva in un aumento del 30,9% dei disoccupati tra i 15 e i 19 anni e addirittura del 50,8% per chi ha tra i 20 e i 24 anni rispetto allo stesso mese del 2019.

In una situazione di crisi generalizzata come quella che stiamo vivendo, con un mercato del lavoro che vede interi settori in difficoltà e nella quale molte famiglie faticano ancora di più ad arrivare a fine mese o sono addirittura scivolate sotto la soglia di povertà, sempre meno giovani possono contare sull’aiuto economico dei genitori e con una Legge così severa riguardo al diritto alle indennità di disoccupazione per loro, non resta che l’assistenza, con le ripercussioni anche psicologiche che ne derivano (in un periodo che già li mette particolarmente sotto stress emotivo).


Che i giovani siano più in difficoltà rispetto al passato, lo hanno constatato anche gli operatori del centro di prima accoglienza Casa Astra: «Negli ultimi due anni il numero di ospiti tra i 18 e i 25 anni è aumentato, se prima erano attorno alla decina (12 nel 2017 e 7 nel 2018), nel 2019 ne abbiamo accolti 30 (circa il 25%) e ora siamo a 26, ma con un numero limitato di posti, e quindi arriviamo al 30% del totale», spiega Donato Di Blasi, direttore della struttura. Un aumento che preoccupa e che è indice di un disagio crescente in questa fascia d’età: «Da noi chiaramente arriva chi sta peggio tra coloro che vivono delle difficoltà, ma la sensazione è che questi giovani oggi stiano ancora peggio di quanto non stessero qualche anno fa», prosegue Di Blasi.

Si tratta in parte di ragazzi che arrivano da situazioni già difficili, con un passato problematico nel quale hanno accumulato diversi fallimenti, ma «abbiamo a che fare anche con ragazzi che hanno una famiglia che li segue, una buona rete che li sostiene, ma per i quali non si riesce a trovare una soluzione».

Tra il 2019 e il 2020, un terzo dei giovani tra i 18 e i 25 anni sono arrivati a Casa Astra perché se ne sono andati di casa a causa di conflitti con la famiglia. Quasi tutti hanno problemi di dipendenze, molto spesso legati al consumo di psicofarmaci o medicinali facilmente reperibili, come quello che viene definito “lo sciroppo dello sballo”, il Makatussin. «Visti i numeri, più che di casi singoli parlerei proprio di un problema generazionale: ogni ragazzo che incontriamo con un problema di dipendenza di questo tipo ne conosce almeno altri due o tre nella stessa situazione e, anche se è difficile avere dei dati precisi e dimostrabili, la percezione è che stiano anche aumentando i decessi legati al policonsumo di queste sostanze. Se ci sono vari fattori che entrano in gioco nel portare un giovane in questa situazione, poi vediamo che il risultato è abbastanza simile per tutti. È un problema che abbiamo riscontrato già prima del Covid, ma la pandemia di certo non li ha aiutati», conclude Di Blasi.

Pubblicato il 

18.12.20
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