Coronavirus non colpisce tutti in modo uguale: «Del 10% più povero della Svizzera, il doppio ha dovuto essere trattato in terapia intensiva rispetto al 10% più ricco». Le differenze nei decessi e nelle infezioni sono altrettanto chiare. La ragione: i ceti più poveri soffrono maggiormente di talune malattie: diabete, cancro, ipertensione, patologie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, le cosiddette malattie non trasmissibili (Mnt). Per Matthias Egger, già capo della task force Covid-19 che ha studiato la connessione tra lo status socio-economico e il rischio di Covid-19: «Corona è un virus di classe». Un “dettaglio” non evocato dai nostri governanti che diventa omissione perché da 25 anni sono note le cause dello squilibrio a livello di salute che affligge maggiormente i ceti più poveri, e per questo colpiti duramente dal coronavirus (vedi area 2/2022). Insomma nella ricca Svizzera permangono disuguaglianze socio-economiche classiste che precludono ai più poveri quel diritto all’integrità fisica inscritto nella Costituzione (art10). Un’asimmetria eclatante che la dice lunga sull’applicazione del diritto nel nostro paese, esempio citato di democrazia, e che deve interrogarci riguardo al potere reale che i ceti alla base della piramide dei redditi dispongono. Secondo R. Sennet, già prof alla London School of Economics, la democrazia è un insieme di istituzioni finalizzate a dare legittimità all’esercizio del potere politico fornendo una coerente risposta a tre domande: 1.Come possiamo produrre cambiamenti nelle nostre società senza violenza? 2. Come possiamo, attraverso un sistema di “check and balance”, controllare quelli che sono al potere in modo da essere certi che non ne abusino? 3. Come può il popolo, tutti i cittadini, avere voce nell’esercizio del potere? Ed è quest’ultimo punto che fa sorgere due domande: a) i ceti sociali in basso alla piramide esercitano i propri diritti per modificare lo status quo? b) la democrazia vigente tende a realizzare l’uguaglianza politica e sociale per tutti? Wade M. Cole prof alla University of Utah ha affrontato le questioni pubblicando nel marzo 2018 “Poveri e impotenti: disuguaglianza economica e politica in una prospettiva transnazionale”. La ricerca di Cole rileva l’influenza della disuguaglianza di reddito netto disponibile per famiglia su: esercizio del potere e libertà civili del singolo. L’esercizio del potere significa: partecipare attivamente alla politica (votare, eleggere), agire quale rappresentante eletto, capacità di elaborare programmi e/o di influenzare decisioni politiche e attuarle. L’esercizio delle libertà civili considera l’accesso alla giustizia, godere diritti di: proprietà, libertà di movimento. Le principali conclusioni di Cole, che ha considerato i dati di 136 paesi tra il 1981 e il 2011, sono evidenti: - più v’è disuguaglianza di reddito, più il potere politico si concentra nelle mani dei ceti più ricchi; - la disuguaglianza di reddito di cui soffrono i ceti bassi riduce l’uguaglianza politica e civile, e finanche il rispetto delle libertà più elementari, l’accesso alla giustizia, libertà di movimento; - la correlazione tra disuguaglianza di reddito e disuguaglianza politica è indipendente dal regime politico (democratico versus autoritario). Anzi, gli effetti perniciosi sono più pronunciati per i paesi ad alto reddito e democratici. Insomma povertà non fa rima con democrazia: la terza condizione posta da Sennet fa difetto: i poveri pur se formalmente cittadini non hanno voce in capitolo. Un terreno che alimenta astensionismo e disinteresse per la cosa pubblica e/o l’affidarsi a politici che promettono di risolvere i problemi. Cole osserva che la disuguaglianza economica associata al senso di impotenza sono fattori che spingono i poveri nelle braccia dei populisti di destra: ne sappiamo qualcosa anche da noi.
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