“Con la globalizzazione, le sfide nel campo della logistica stanno aumentando in modo massiccio (...). Per far fronte a questi sviluppi, il fornitore di servizi postali deve essere in grado di anticipare e migliorare continuamente le sue prestazioni. Per avere successo, ha bisogno di un mercato completamente liberalizzato”. Georges Champoud, all’epoca Ceo di Dpd (Schweiz), in un articolo pubblicato nel 2007 sulla rivista La Vie Economique spiega le sue ragioni per giungere a una “soppressione completa del monopolio postale in Svizzera”. Uno smantellamento che, per l’allora direttore generale del colosso dei pacchi, non deve porre particolari timori ai lavoratori: “Dato che le condizioni di lavoro sono ovunque conformi agli stessi standard, che sono definiti dall’autorità di regolamentazione come par-te del processo di licenza, la liberalizzazione non genera alcun problema sociale. Dpd (Schweiz) Ag è stata pioniera in questo campo, firmando nel 2004 un contratto collettivo di lavoro con i sindacati”. Georges Champoud si rammarica del fatto che la Confederazione, in materia di liberalizzazione, è in ritardo rispetto all’Unione europea. A suo dire occorreva però restare fiduciosi: “L’evoluzione politica in Svizzera va nella buona direzione per i fornitori privati, i clienti e i dipendenti”. L’arrivo dei privati
All’epoca di queste dichiarazioni, il mercato svizzero dei pacchi è già totalmente deregolamentato da tre anni. Da quando cioè, il Consiglio federale, a seguito dello smantellamento delle ex regie federali iniziato nel 1997, ha deciso di aprire ai privati i settori redditizi dell’attività postale. Su tutti il settore dei pacchi su cui si fiondano il colosso francese Dpd e quello tedesco Dhl. Era l’epoca in cui in molti pensavano che la privatizzazione fosse necessaria per correggere alcune inefficienze del mercato monopolistico. Seguendo l’onda di questo pensiero che già aveva inondato l’Unione europea, il Governo decise di dare un’ulteriore sterzata alla privatizzazione: nel 2013 la Posta Svizzera diventa così una società anonima. Un passo necessario, agli occhi del Consiglio federale, “per affrontare con successo le molteplici sfide del futuro”, ma che di fatto azzopperà la stessa Posta la quale, da un lato, dovrà garantire il servizio universale in tutti i settori e, dall’altro, dovrà macinare utili. «Lo smantellamento della Posta rimane il frutto di precise scelte, dettate da altrettanti precisi interessi privati che sono in contrasto con il servizio pubblico e che di fatto hanno peggiorato le condizioni di lavoro» ricorda Graziano Pestoni, che ha dedicato un libro proprio alla privatizzazione della Posta Svizzera. Conflitti d'interesse
Nel 2004, viene creata PostReg, un’autorità di regolazione il cui compito era quello di “monitorare la liberalizzazione graduale del mercato postale”. Nel suo primo rapporto si legge: “Gli operatori privati della posta-pacchi (...) hanno provato di essere disposti ad offri-re buone condizioni di lavoro e a non praticare il dumping sociale per conquistare quote di mercato. La chiara linea di condotta adottata dall’autorità di concessione (Datec) e dall’autorità istruttoria (PostReg) ha por-tato alla conclusione del primo contratto collettivo di lavo-ro di un’impresa postale privata (Dpd Schweiz Ag). La novità è che il contratto collettivo si applica anche ai subappaltatori”. Oggi, questo entusiasmo stride con una realtà fatta di straordinari non pagati, orari massacranti e intimidazioni. Nel 2013, PostReg viene sostituita da PostCom, una commissione non più sottoposta al Datec, ma indipendente. Il mandato di questa sorta di gendarme postale prevede di sorvegliare il rispetto del mandato del servizio universale garantito dalla Posta, di registrare i for-nitori privati e di verificare se le condizioni di lavoro sono ri-spettate. Negli anni, PostCom ha emanato decisioni impor-tanti. Nel 2020 ha stabilito che i servizi di Uber Eats sono da considerare un servizio postale e ha sanzionato EpsilonSa, una filiale della Posta che non si atteneva al salario minimo. Su Dpd, sembra però che (per ora?) nulla si sia mosso. Il sistema usato dal gruppo francese per aggirare le regole dovrebbe essere noto: non solo perché la Srf ne aveva già parlato nel 2017, ma anche perché, dalla sua creazione a oggi, in seno a PostCom in qualità di vicepresidente siede uno che Dpd la conosce bene. Di chi si tratta? Di Georges Champoud, l’ex direttore generale e promotore della turbo-liberalizzazione. Unia chiede controlli «Quando le leggi vengono sistematicamente infrante ci si aspetta che le autorità intervengano. In questo caso, c’è tutta una serie di autorità responsabili. I cantoni e i loro ispettori del lavoro sono responsabili dell’applicazione del diritto del lavoro. Tuttavia, negli ultimi anni, non sono stati rag-giunti miglioramenti da nessuna parte» ci spiega Roman Kuenzler, responsabile di Unia per il settore logistica e trasporti. Non tocca quindi, chiediamo, anche a PostCom intervenire? «La legge postale – spiega il sindacalista – è formulata in modo tale che i subappaltatori, ossia le società che di fatto impiegano gli autisti Dpd, non sono assoggettati all’obbligo di registrazione e per questo non sottostanno alla supervisione della PostCom». Per Roman Kuenzler, però, una soluzione ci sarebbe: «PostCom potrebbe sanzionare direttamente Dpd dato che il gruppo francese ha la responsabilità di garantire che le aziende che agiscono per suo conto rispettino la legislazione sociale e le condizioni di lavo-ro abituali nel settore». Contattata, la commissione ci spiega di non potere fare commenti su singoli casi o aziende. PostCom è ben cosciente del fatto che fornitori di servizi postali soggetti all’obbligo di registrazione spesso affidano la consegna dei pacchi a subappaltatori: «Si stima – ci dice l’ad-detto alla comunicazione Andreas Herren – che in Svizzera vi siano circa 1.000 aziende di questo tipo» ma che «se un’azienda agisce esclusivamente come subappaltatore, PostCom non può controllarla direttamente». Tuttavia, spiega il signor Herren, «se tale subappaltatore genera più della metà del suo fatturato annuo dai servizi postali, il fornitore di servizi postali soggetto all’obbligo ordinario di registra-zione deve farlo». In concreto: il fornitore registrato – in questo caso Dpd – «deve concordare per iscritto con il subappaltatore di rispettare le condizioni di lavoro abituali nel settore». Per Roman Kuenzler vi è però qualcosa che non va nella maniera di operare di Postcom: «Ciò che è scioccante nell’attuale costruzione e funzionamento di PostCom è che la prospettiva dei lavoratori è completamente assente, e il sistema è di fatto costruito per servire gli interessi dei grandi capi. In nessuna fase PostCom intervista i lavoratori sulle loro con-dizioni di lavoro e i loro sindacati non vengono nemmeno ricevuti per spiegare le esperienze di chi consegna i pacchi e gli abusi ri-scontrati. Infatti, PostCom parla solo con i capi. Questo è inaccettabile e deve essere corretto». La palla alla politica Nel frattempo, l’operato di PostCom nella vicenda è giunto al Consiglio federale tramite un’interpellanza del consigliere nazionale socialista Pierre-Yves Maillard. Oltre a chiedere un giudizio sui controlli di PostCom, il presidente dell’Unione sindacale svizzera chiede al Governo di valutare l’impatto della liberalizzazione del mercato postale sulle condizioni di lavoro nei servizi postali. Da parte sua, PostCom aggiunge che «alla luce della pressione sui prezzi e del crescente numero di forme di organizzazione del lavoro nel settore, occorre ridiscutere se la competenza della PostCom per il controllo delle condizioni di lavoro debba essere estesa a queste imprese». Una frase che, tra le righe, sembra un messaggio lanciato al legislatore. Il Parlamento federale, infatti, non ha inserito esplicitamente la questione dei subappaltatori nella legge sul-la Posta entrata in vigore nel 2013. Sembrerebbe però che PostCom, dovendosi attenere ai limiti impostile dalla legge, sia riuscita a estendere il più possibile il suo potere di vigilanza sul rispetto delle condizioni di lavoro includendo tra i soggetti tenuti a rispettare gli standard minimi definiti dall’Ordinanza della Commissione delle poste sugli standard minimi delle condizioni di lavoro nel setto-re dei servizi postali (Osmlp) almeno una parte dei subappaltatori: quelli cioè che realizzano più del 50 per cento della cifra d’affari annua con i servizi postali e i rispettivi lavoratori nel settore dei servizi postali. Ma questo sembra non bastare. L’impressione è che all’epoca in cui sono state decise le liberalizzazioni non si fosse tenuto conto delle derive che avrebbe potuto prendere il mercato del lavoro in un settore viepiù de-regolamentato e caratterizzato dalla corsa al ribasso dei costi. I fatti, emersi con la vicenda Dpd, sono ora lì da vedere. Per cui occorre correre ai ripari. L’Osmlp, entrata in vigore nel 2018, è solo un cerotto: è la legge che dovrebbe adattarsi al più presto alla nuova realtà come, a titolo di paragone, è avvenuto in passato nel campo delle commesse pubbliche dove la legge sugli appalti ha imposto esplicitamente anche il rispetto di una serie di requisiti da parte dei subappaltatori. «È fondamentale che i grandi gruppi siano considerati responsabili della filiera di subappaltatori che hanno a valle, come la giustizia ginevrina sta cercando di imporre a Uber» ha afferma-to di recente a la Regione Sergio Rossi. Il professore di macroeconomia ha ribadito quello che è il peccato originale dell’affare Dpd: una privatizzazione che, invece che migliorare le cose, ha trascinato verso il basso anche il servizio pubblico e precarizzato il lavoro. Eppure c’è chi a Berna, ci vuole provare ancora, come dimostra la volontà del Governo di privatizzare Post-Finance. Questa volta, però, si spera in un’opposizione più agguerrita |