“Nessuno dovrà pagare più dell’8 per cento del proprio reddito imponibile per i premi dell’assicurazione malattie obbligatoria”. Era un obiettivo, scritto nei documenti e dichiarato alla popolazione, della LAMal, la legge approvata in votazione nel dicembre di trent’anni fa ed entrata in vigore nel 1996. Un obiettivo chiaramente mancato, come ciascuno di noi si può facilmente rendere conto alla fine di ogni mese pagando la cassa malati. Ma a questo fallimento, che si sta traducendo in un progressivo impoverimento dei cittadini e addirittura in un ostacolo nell’accesso alle cure (1 persona su 5 rinuncia al medico per ragioni finanziarie), possiamo oggi parzialmente riparare. L’occasione si presenta il 9 giugno con la votazione sull’iniziativa “per premi meno onerosi”, che mira a limitare la spesa per i premi a carico degli assicurati al massimo al 10% del reddito. Dunque ad avvicinarsi all’obiettivo sociale dichiarato dal legislatore e dal “padre” della LAMal quale fu Flavio Cotti, consigliere federale democristiano. Un dettaglio da ricordare alla destra e a tutti i detrattori dell’iniziativa, che in queste settimane di campagna gridano alla catastrofe finanziaria cui condurrebbe l’adozione della misura. “Confederazione e Cantoni dovrebbero aumentare le imposte”, è lo spauracchio più ricorrente. E il più inconsistente, visto che il premio della cassa malati di fatto è pure una tassa, una tassa obbligatoria e uguale per tutti, per il CEO di UBS Sergio Ermotti come per la cassiera della Coop. Dunque la più ingiusta delle tasse, che ogni anno conosce aumenti vertiginosi. L’iniziativa non rimette in discussione il carattere antisociale del sistema di finanziamento della sanità in Svizzera, perché il premio del milionario resterà come quello del poveraccio, ma è un passo nella giusta direzione per sollevare le salariate e i salariati di questo paese. Perché si trasferisce l’onere eccedente il 10% del reddito (che resta comunque tanto) alla collettività, da finanziarsi attraverso la fiscalità generale a cui ciascuno contribuisce in funzione e proporzionalmente al proprio reddito, dunque con un meccanismo sicuramente più giusto e solidale di quello dei premi pro capite. L’alternativa sarebbe di non cambiare nulla rispetto alla situazione attuale, il che significherebbe certamente nuovi aumenti della più ingiusta delle tasse. Proprio oggi il sito di comparazione Comparis ha presentato le sue previsioni per il 2025: i premi dovrebbero subire un aumento medio del 6 per cento e in certe regioni di addirittura il 10 e oltre. Se questo non basta per giustificare il timido progresso sociale che un’approvazione dell’iniziativa socialista comporterebbe, vuole dire non sapere riconoscere i gravi problemi cui è confrontata la popolazione di fronte al costo della vita. Un aspetto questo che contribuisce a rafforzare le disuguaglianze, come evidenzia uno studio sulla povertà in Svizzera pubblicato in questi giorni, secondo cui i ceti più alti spendono mediamente il 31 per cento del reddito per mantenere il loro tenore di vita, mentre le fasce di reddito più basse devono spendere l’82 per cento. Un’ennesima prova di quanto sia urgente fare qualcosa, cominciando col porre un limite alla spesa che le famiglie devono sostenere per l’assicurazione malattie. Ma il 9 giugno sarà anche fondamentale affossare l’altra iniziativa in votazione, quella “per la riduzione dei costi”, che è l’anticamera di un deterioramento della qualità delle cure e di una medicina a due velocità, di classe (una per i ricchi e una per i poveri) oltre che di un ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro del personale sanitario. Dunque una proposta che va nella direzione esattamente contraria alla vera priorità, che è quella di garantire a tutti le medesime condizioni di accesso alla sanità e il diritto alle cure. |