«Spero che venga letto dai politici», ha detto Lorenzo Sganzini, capo della Divisione cultura del Canton Ticino, alla presentazione del libro sul Ticino* con contributi di sedici autori. Questo volume, uscito in occasione del bicentenario della nascita del Canton Ticino, potrebbe aiutare a colmare la spaccatura tra la consapevolezza storica di molti studiosi in Ticino e le decisioni dei politici. Il distacco tra il sapere disponibile e il fare dei politici non è tuttavia una specificità ticinese. Una recensione adeguata di questo appassionante libro non si può fare nelle poche righe a mia disposizione. Mi permetto però di attingere al contributo del filologo Sandro Bianconi per evidenziare questa spaccatura. Prendendo posizione sul nuovo articolo costituzionale sulle lingue il Consiglio di Stato nel 1990 assunse un atteggiamento innovativo, aperto alle problematiche del plurilinguismo. Il governo ticinese scrisse che era «convinto che la difesa e la promozione della nostra specificità culturale e linguistica devono essere realizzate a due livelli: in primo luogo nel Cantone, ma anche, e con altrettanto impegno, nella Confederazione». Berna era sollecitata a realizzare delle iniziative volte a rafforzare la presenza e il ruolo dell’italiano in Svizzera. Nei dibattiti parlamentari il messaggio del Consiglio federale, molto aperto (affermava il principio della libertà della lingua e favoriva il plurilinguismo), venne ignorato dai deputati ticinesi che si unirono al coro dei romandi nella cieca difesa del principio della territorialità. Ovviamente i ticinesi, con l’eccezione di Fulvio Caccia, non avevano seguito le proficue discussioni e i convegni sull’italiano e il multilinguismo avviate in Ticino. Bianconi è rimasto allibito dal cambiamento radicale della posizione dell’allora Consigliere federale Flavio Cotti, che in parlamento non sostenne minimamente il suo messaggio e fece propria la posizione difensiva dei romandi. Questo atteggiamento di non informarsi o di non voler sapere provoca troppo spesso delle decisioni che non stanno in piedi. Un esempio fresco fresco: la commissione di conciliazione delle due camere federali ha accettato la settimana scorsa un pacchetto di sgravi fiscali soprattutto a favore dei benestanti che comporta meno entrate per oltre due miliardi di franchi solo per la Confederazione. I parlamentari sapevano benissimo che il Consiglio federale da parte sua aveva già varato un doloroso pacchetto di risparmi di 6,6 miliardi in tre anni, ma lo stesso sono talmente generosi con i contribuenti che perfino la maggioranza dei direttori cantonali delle finanze raccomanda ai parlamentari di bocciare il pacchetto fiscale nella votazione finale. Inoltre, si sentono dure critiche alla manovra di risparmio del Consiglio federale: per esempio dal governo ticinese, quello stesso governo che già varie volte ha tagliato le uscite, anche a scapito dei comuni, e ha adottato diversi pacchetti di sgravi fiscali. * Il Ticino nella Svizzera, a cura di Andrea Ghiringhelli, Armando Dado’ Editore, 457 pagine, Fr. 30.-.

Pubblicato il 

13.06.03

Edizione cartacea

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