È disumana ignoranza e completa malvagità lasciare che gli uomini diventino l’uno con l’altro causa di odio per una distribuzione delle terre e una assegnazione delle case fatta senza rispettare criteri di distribuzione proporzionali, fatta senza misura.
...Nelle città esistenti vi sono almeno due città che si contrappongono, nemiche una dell’altra, quella dei poveri e quella dei ricchi; e poi in ciascuna vi sono numerose altre contrapposizioni, di modo che se tu le consideri come qualcosa di unitario, finisci per sbagliare tutto...
Queste città-stato reali sono a tal punto prive di giustizia che esse invece di presentare una configurazione unitaria capace di armonizzare le disparità, si  configurano piuttosto come delle scacchiere, ossia  sono scandite anche spazialmente da molte caselle giustapposte e antagoniste...
Noi, proponendoci di fondare una città-stato altra,  non abbiamo affatto di mira l’obiettivo di distinguere un sola classe o gruppo (ethnos) come più felice degli altri, ma al contrario quello di assicurare il massimo di felicità per l’intera comunità dello Stato; questo perché siamo persuasi che in tali condizioni avremmo piu facilmente trovato la giustizia.
Ciò che noi vogliamo creare è la città felice, la città tutta nel suo complesso, cosa che non può farsi scegliendo pochi individui da porre in condizioni privilegiate. Da queso modello verrà immediatamente e logicamente la visione della città contraria, vale a dire dello Stato ingiusto.
In altri termini, ciò che è reale-presente è irrazionale, e ciò che è razionale è irreale.
Gli individui costretti a vivere fuori di ogni comunità sono confinati fuori, nella loro condizione naturale, nella loro mera diversità, pur trovandosi nel mondo civile. Essi sono sottratti alla cittadinanza; e poiché sottratti ed esclusi dall’attività edificatrice degli uomini, finiscono per appartenere alla razza umana allo stesso modo che degli animali a una determinata specie animale. Il paradosso è che la perdita dei diritti umani coincide con la trasformazione in uomo generico – senza professione, senza cittadinanza, senza un’opinione, senza un’attività con cui identificarsi e specificarsi – e in individuo generico, ossia spogliato di ogni significato perché privato dell’espressione e dell’azione in un mondo comune.
L’esistenza di una simile categoria di persone racchiude in sé un duplice pericolo. Il loro distacco dal mondo, la loro estraneità sono come un invito all’omicidio, in quanto che la morte di uomini esclusi da ogni rapporto di natura giuridica, sociale, politica, rimane priva di qualsiasi conseguenza per i sopravviventi. Se li si uccide è come se a nessuno fosse causato un torto o una sofferenza. Questo era il tremendo pericolo che portava con sé l’usanza antica e medievale della messa al bando.
Inoltre, non è più probabile che il pericolo mortale venga dall’esterno. Il pericolo è che una civiltà divenuta universale produca dei barbari dal suo seno, costringendo, in un processo di decomposizione interna, milioni di persone a vivere in condizioni che nonostante le apparenze sono quelle delle tribù selvagge.
Il compito della filosofia consiste nel cercare la verità intorno alla vita giusta, alla vita appropriata. Ma questo compito non può essere svolto senza ridonare linguaggio a ciò che è muto.*

* Testo-zattera come ready-made rettificato: 1-5: Platone, Repubblica, libro IV; 6, G. Rensi, La filosofia dell’ assurdo, Milano, 1991; 7-9: H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Torino, 2009, p. 418; 10: M. Horkheimer - F. Pollock, in N. Emery, Per il non conformismo, Roma, 2015.

Pubblicato il 

02.07.15
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