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Piango perché son vivo
di
Mauro Marconi
Tra i tanti appuntamenti che segnano questo caldo e triste autunno 2005, tra un mesetto circa ci sarà la votazione sul lavoro domenicale. Non starò a spiegare i motivi del no, altri più convincenti di me già si stanno adoperando e continueranno a farlo durante le prossime settimane. Nella campagna pubblicitaria ben avviata, un elemento fra gli altri ha colpito la mia attenzione: la frase pubblicitaria scelta dai fautori del sì, che recita “stazioni vive”. Al di là dello slogan, viene da chiedersi quando una stazione è viva? Fondamentalmente lo è quando ci sono dei viaggiatori che vi si recano per utilizzare treni, autopostali e/o bus, e degli operatori che assicurano i servizi di trasporto. Di principio, la vitalità di una stazione ha quindi ben poco a che fare con la presenza di consumatori che si recano in una stazione per fare la spesa o dello shopping. Lo slogan scelto è decisamente esemplare di un tentativo, peraltro non sorprendente ma comunque subdolo, di imporre un mutamento culturale sostanziale: associare la vita (e tutto quanto vi è simbolicamente legato: la gioia di vivere) al consumo e da lì al capitale. Basta con il capitale dipinto in nero che impone sofferenza (i malati da lavoro), sfrutta (i lavoratori cinesi), perseguita (i sindacalisti latino-americani), inquina (il delta del Niger), smantella lo stato sociale (gli esperimenti di new public management). Per lungo tempo, il capitale ha dovuto in qualche modo giustificare la sua esistenza di fronte ad un movimento operaio che lo minacciava. Volente o nolente, ha quindi compartecipato all’edificazione di sistemi di protezione sociale che ne attutissero i suoi effetti e lo rendessero accettabile. Crollato lo spauracchio dell’alternativa socialista, il capitale si è dato al piccone per demolire i sistemi di sicurezza e protezione sociale, sorta di legittimazione di cui non ha più bisogno, ed ha avuto via libera all’imposizione del suo modello culturale, di cui “stazioni vive” è solo un tassello. La tristezza non rende. Un capitalismo dipinto di nero non favorisce gli affari: i consumatori si fanno critici, scelgono e spendono meno e meglio. Allora diamo una pennellata di colore e diciamolo a chiare lettere: il capitale è vita e la gioia di vivere si esprime nel consumo. Commemorare i morti? Scherziamo? Bisogna festeggiare Hallowen: rendono di più le zucche vuote che i crisantemi. Fottetevi, anche quest’anno me ne andrò a piangere sulle tombe dei miei cari.
Pubblicato il
28.10.05
Edizione cartacea
Anno VIII numero 43-44
Rubrica
Gli occhiali di G.L.
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