Il risultato della Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale (Nupes) alle elezioni legislative del 19 giugno (32 per cento) riporta le sinistre sociali ed ecologiche al centro della vita politica francese. Tuttavia, l'orgoglio di dare nuova vita al nobile aggettivo "popolare" non deve nascondere la realtà: "il popolo" è diventato una minoranza. Oggi, infatti, le classi sono definite sempre più da ciò che consumano, piuttosto che da ciò che producono.
Per costruire un polo politico maggioritario, non è più sufficiente cercare il sostegno delle vittime dell'ingiustizia e della miseria sociale (pur ancora troppo diffuse). Oggi è necessario riuscire a sedurre anche quei cittadini che, pur vivendo in un certo agio materiale, soffrono di un malessere che non sempre sanno interpretare. La maggior parte di loro non sogna un “altro mondo” come quello evocato dallo slogan della Nupes. Questo mondo gli basta. Vorrebbero solo avere il tempo per goderselo! La loro principale fonte di ansia è un’agenda piena, non uno stomaco vuoto! È anche su questa nuova carenza che le sinistre sociali ed ecologiche dovrebbero fare leva. Spetta a loro di offrire alternative di vita ai tanti che barattano la ricchezza di cose con la mancanza di tempo.
Le riforme relative al tempo di lavoro e di non-lavoro (età del pensionamento, settimane di ferie, settimana lavorativa) sono di solito trattate separatamente e solo sotto il profilo pecuniario: quanto denaro costa? Quanto rende? È invece opportuno calcolare e comunicare l’aumento o la diminuzione del numero di ore di non-lavoro sull’intera vita conseguente ai programmi dei vari partiti. Sì, dico proprio “ore di non-lavoro” perché queste sono la grandissima maggioranza delle ore della nostra vita. Per fortuna lavoriamo sempre meno, con lo scopo di poter non lavorare sempre più a lungo. È questo ciò chiamiamo progresso.
In Francia la riduzione del tempo di lavoro è proprio il primo capitolo del programma Nupes. Mentre il programma di Ensemble!, la coalizione del Presidente Macron, propone il pensionamento a 65 anni (ora 62), il mantenimento delle attuali ferie (5 settimane) e della settimana lavorativa di 35 ore, la Nupes propone il pensionamento a 60 anni, una sesta settimana di ferie e una graduale riduzione delle 35 ore. Sommando gli effetti del programma della Nupes sì guadagnerebbero in una vita 17.000 ore di non-lavoro rispetto agli effetti del programma di Ensemble!. Nel caso di lavori usuranti, il guadagno sarebbe di 22.000 ore. In media, quindi, possiamo parlare di un guadagno medio di circa 20.000 ore (su una vita media di 80 anni). Nota bene: questo guadagno di tempo per vivere al di là del lavoro sarebbe ottenuto con la sola azione politica, non con una maggiore produttività tecnica.
È interessante confrontare le 20.000 ore in più di non-lavoro del programma della Nupes con le 40.000 ore di lavoro in una vita che l'economista francese Jean Fourastié prevedeva nel 1964 per l'anno 2000 (30 ore settimanali per 35 anni). Se durante i “Trenta gloriosi” (il boom economico tra il 1945 e il 1975) la scelta di evidenziare la somma delle ore di lavoro nell'arco di una vita corrispondeva al contesto dell'epoca, ai nostri giorni sarebbe opportuna la scelta opposta: quantificare la somma delle ore non lavorative. Aritmeticamente è la stessa cosa. Ma l'inversione di questi due termini (non-lavoro e lavoro) ci permetterebbe una percezione del tempo sociale più moderna.
A metà del XIX secolo, quasi tutte le ore attive di un salariato erano occupate dal lavoro. Oggi il lavoro salariato occupa tra il 10% e il 15% del mezzo milione di ore della nostra vita (senza contare il sonno). Mentre il tempo di lavoro annuale dei salariati è diminuito in 170 anni da 3.100 ore a 1.400 ore, l’aspettativa media di vita è raddoppiata e la produzione di beni e servizi è aumentata spettacolarmente. Così come i danni causati alla natura! Dal momento che l'enorme aumento della produttività ora ci permette di farlo, dovremmo partire da una politica del tempo di vita per determinare tutto il resto, non da una politica del tempo di lavoro. Il nostro tempo di vita, infatti, è l'unica vera risorsa non rinnovabile.
Nei paesi ricchi, abbiamo davvero bisogno di lavorare e produrre di più? Questa è oggi una domanda cruciale per l'umanità. E già lo era nel 1972, quando lo studio “I limiti alla crescita” per il Club di Roma ci mostrava i possibili scenari delle conseguenze del continuo raddoppio della quantità di cose che produciamo. Spesso si sente dire che dobbiamo lavorare di più per finanziare le nostre pensioni. Ma questo argomento è ecologicamente cieco, poiché l'aumento degli scambi di denaro immateriale (il Pil) è legato all’aumento di beni materiali: miliardi di tonnellate di acqua, di materie prime, di manufatti, di rifiuti e di emissioni nocive. Mentre per gli scambi di denaro virtuale non esiste un limite, per la produzione e la distruzione di cose materiali i limiti esistono, eccome! Sono i cosiddetti “limiti planetari” oltre i quali la vita degli umani e quella sul Pianeta si degradano drammaticamente.
Ci manca davvero qualcosa?
Forse siamo a corto di cibo (nei paesi ricchi)? No! Un terzo del cibo che buttiamo via è ancora buono. Il nostro eccesso di calorie, di carne e di cibo malsano è causa di sovrappeso e di malattie. Siamo a corto di vestiti? No. Non usiamo neanche metà dei nostri vestiti - e ogni anno ne compriamo ancora un gran numero! Forse ci manca la plastica? No. Ne riempiamo gli oceani con decine di milioni di tonnellate. Ci mancano le auto? No! I nostri garage, le strade e i parcheggi ne sono pieni. Con un “premio di rottamazione”, siamo addirittura ricompensati se distruggiamo la nostra auto perfettamente funzionante. Allora, davvero dovremmo lavorare e produrre di più?
Non ci basta far parte dell'1% più ricco degli otto miliardi di persone sulla Terra? Ci manca ancora qualcosa? Sì. L'unica cosa che ci manca davvero è il tempo per vivere al di là del lavoro! Gli appelli di Paul Lafargue e André Gorz a invertire la priorità tra tempo di lavoro e tempo di non-lavoro devono finalmente uscire dai circoli intellettuali e diventare espliciti e quantificati nei programmi e nei discorsi dei partiti. Se una sinistra moderna sociale ed ecologica vuole avere una chance di raccogliere un maggiore consenso in questa epoca della sovrapproduzione, essa deve mettere al centro del proprio discorso il tempo di vita e non solo il lavoro e il denaro. “Più vita per tutti” dovrebbe diventare il suo motto.
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