Immaginate di essere svegliati all’alba da una perquisizione e un interrogatorio nell’intimità di casa vostra. Rassicuratevi, nessun magistrato ha firmato un mandato perché siete sospettato di aver commesso un reato. Il problema, se si vuole, è che abitate in un edificio popolare. Questo fa sì che voi e tutti gli inquilini del palazzo siete potenzialmente soggetti a perquisizioni. È la nuova strategia della sicurezza a Lugano, che presto, assicurano le autorità competenti, sarà replicata in altre case. Magari anche la vostra. Visto da vicino, il casermone dalle forme particolari non suscita sensazioni estetiche gradevoli. Non si può dire che porti bene i suoi anni questo stabile edificato nel lontano 1963 e in parte finanziato dal Cantone. L’ultima rinfrescata allo stabile deve risalire a molto tempo fa. Lo sguardo scorre sui citofoni della settantina di appartamenti spalmati su quattordici piani. Riaffiora il ricordo di quando da ragazzino venivo a chiamare gli amici che vi abitavano negli anni 80. Oggi invece mi trovo qui per raccogliere le reazioni degli attuali inquilini all’ingente operazione di polizia che li ha visti, loro malgrado, protagonisti. Qualche settimana fa, il grattacielo di Pregassona e altre tre palazzine del quartiere riconducibili al medesimo proprietario sono stati al centro di un’imponente operazione di polizia. Una cinquantina di agenti comunali, una ventina della cantonale, due unità cinofile e sette impiegati dell’ufficio controllo abitanti cittadino hanno bussato all’alba alle porte di tutti gli appartamenti del grattacielo. Poco meno di un centinaio di persone impiegate nell’Operazione Distra «volta a verificare eventuali presenze abusive in alcune palazzine del quartiere di Pregassona» recita il comunicato della polizia comunale di Lugano. 103 gli appartamenti visitati, 160 le persone controllate. Due gli arresti, uno legato a stupefacenti, l’altro per un mandato di cattura. Due invece i fermati per infrazione alla legge stranieri e uno per accompagnamento forzato. Quattro le denunce sempre per stupefacenti e tre le multe inflitte per canapa. Un bottino considerato modesto visto l’enorme dispiegamento, stando alle dichiarazioni di Michele Bertini, municipale di Lugano titolare del Dicastero polizia, intervistato dal Corriere del Ticino. Ma veniamo alla domanda che mi ha spinto a tornare al “casermone”. Come hanno vissuto gli abitanti di questo palazzo l’incursione poliziesca? «Alle sette, mentre stavo preparando il caffè, sento bussare alla porta. Apro e trovo dei poliziotti. «Buongiorno, siamo qui per un controllo. Possiamo entrare?» Ancora assonnata, acconsento. Entrano sette poliziotti e iniziano a controllare l’intimità della mia abitazione, mentre un altro mi faceva delle domande. Il tutto sarà durato una decina di minuti, e poi, gentilmente, se ne sono andati» racconta una giovane donna. Incrociamo poi una donna col pargoletto aggrappato al braccio, mentre il fratellino più grande le stringe la mano. «L’intervento della polizia lo vedo favorevolmente. Sa, questo palazzo non ha una buona fama. C’è un po’ di tutto. Non avevano mandato, ma li ho lasciati entrare ugualmente. Se non hai niente da nascondere...». Sulla falsariga le reazioni di altri interlocutori. Nel nome della sicurezza sono ben disposti a sacrificare l’intimità di casa propria. Forse a qualcuno è mancato il coraggio (o la prontezza) di opporsi in assenza di un mandato. Nessun magistrato ha firmato i mandati di perquisizione della settantina di appartamenti. Se l’avesse fatto, significava che tutti gli inquilini erano sospettati di reati per i quali erano indagati. Quel palazzo è popolato da persone dal reddito modesto. Alcuni beneficiano dell’assistenza sociale. La maggioranza degli inquilini è di origine straniera, e in certi casi, persone a cui è stato riconosciuto il diritto all’asilo. Da quando esiste, il “grattacielo” di Pregassona non ha mai goduto di buona fama, come diceva la signora. Eppure, nel suo mezzo secolo di vita, dal “casermone” sulle sponde del fiume Cassarate non sono mai arrivati spunti di gravi fatti da cronaca nera. «Non ero in casa perché non ero ancora rientrato dal turno di notte all’ospedale» ci dice un signore mentre svuota una dell’infinita sfilza di bucalettere. «C’era mia moglie, ma ora sta lavorando. Mi spiace, non posso aiutarla». Stesso discorso con un altro inquilino. «Al momento del controllo stavo rientrando dal turno notturno in fabbrica». Un giovane artigiano (che il caso vuole fosse a casa mia la settimana prima per motivi professionali), mi dice che al momento del controllo era già uscito per recarsi al lavoro. Gente normale la cui casa poteva essere perquisita solo perché abita in quel palazzo popolare. Un’operazione di polizia che, stando alle dichiarazioni di Roberto Torrente, comandante della polizia cittadina, sarà replicata a breve in altri quartieri. Un’intenzione confermata dal responsabile politico Bertini, che anche lui assicura sarà estesa ad altre zone cittadine. Essere svegliati da una perquisizione e un interrogatorio nell’intimità della propria casa parrebbe diventare la normalità dei cittadini di Lugano, a detta dei suoi amministratori. In fondo, dicono, entriamo in casa tua per proteggerti. «Mi sento molto sicura» dice ridendo una signora di mezza età dall’accento svizzero-tedesco, inquilina del grattacielo. «Più sorvegliati di così è impossibile» aggiunge salutando. I fatti forse ci smentiranno, ma dubitiamo fortemente che i prossimi quartieri toccati dall’Operazione Distra saranno La Montarina di Besso, le ville di Breganzona alta, di Castagnola, di Aldesago o altre zone ad alto standing. Non perché si possa escludere in quei quartieri la presenza di domicili abusivi motivati da evasioni fiscali. Anzi. Ma in quel caso, le reazioni politiche fioccherebbero. L'intervista Un intervento sproporzionato, afferma la criminologa Rebecca Ruiz Rebecca Ruiz, criminologa e consigliera nazionale socialista eletta nel canton Vaud, stenta a credere che non vi siano state reazioni politiche o cittadine a un’operazione di polizia come quella condotta a Lugano. Le abbiamo chiesto un parere professionale, da criminologa, su quanto accaduto. «Imponenti operazioni di polizia si possono senz’altro effettuare. Alla loro base però ci vogliono dei sospetti fondati di infrazioni commesse. Per esempio, operazioni anti-droga in luoghi pubblici noti per lo spaccio, perquisizione d’immobili dove si sospetta la tratta umana, la prostituzione forzata o dove si esercita in condizioni che possano mettere in pericolo le lavoratrici del sesso. Nella valutazione di queste operazioni rimane fondamentale il principio della proporzionalità». A sua conoscenza, in Svizzera romanda (in particolare a Losanna o Ginevra), sono mai state condotte delle operazioni simili a quella luganese? Operazioni con gran dispiego di forze di polizia ci sono state anche in Romandia. Ma erano mirate su sospetti ben fondati. A Losanna ad esempio sono intervenuti in un ristorante dove si vendeva droga, in uno stabile dove poi furono chiusi 13 saloni di massaggi illegali. Anche nella pubblica piazza Riponne centinaia di agenti hanno fatto dei controlli in relazione allo spaccio di droga. Ma una perquisizione generalizzata di tutti gli appartamenti di un palazzo popolare, non è mai accaduto. L’autorità comunale giustifica questa tipologia di operazione come attività preventiva di sicurezza. Condivide? No. È un intervento sproporzionato. A meno che la polizia non abbia informazioni secondo cui tutti gli inquilini di un immobile vendano droga. Guardando il bilancio finale dell’operazione, ne dubito fortemente. Aggiungo che la vera prevenzione nei quartieri più a rischio si ottiene con una presenza quotidiana della polizia, quale l’agente di quartiere. Una figura che conquistando la fiducia dei cittadini e instaurando relazioni personali consente di intervenire rapidamente dove e quando necessario. Un’imponente operazione di polizia condotta all’alba, in modo indiscriminato, non favorisce la prevenzione. Con l’operazione luganese, non c’è il rischio di criminalizzare le persone per dove abitano, il loro reddito o le loro origini? Certo. Operazioni di questo genere devono essere condotte solo sulla base di sospetti solidi. Il semplice fatto da abitare in un quartiere di condizioni modeste o essere beneficiari dell’aiuto sociale è sufficiente per perquisirti la casa, è estremamente problematico.
frabon
|