L'editoriale

La concessione di poteri esorbitanti alle autorità di polizia è uno dei punti più problematici della “Legge sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo” (Mpt) in votazione il 13 giugno. Una legge liberticida e che mina principi fondamentali dello stato di diritto, perché conferisce alla polizia la facoltà di limitare i diritti di libertà degli individui a titolo preventivo, a sua discrezione, semplicemente sulla base di un sospetto e senza alcun mandato di un’autorità giudiziaria o politica.

 

È l’anticamera di uno Stato di polizia. Ogni intervento «sarebbe proporzionato al caso in questione», tenta di rassicurare il Consiglio federale, ma in realtà è più che legittimo temere un’esplosione degli abusi.

 

Per farsi un’idea di cosa possa significare un eccesso di potere nelle mani della polizia e come le leggi e le garanzie costituzionali possano essere facilmente calpestate, basta guardare allo spettacolo indegno che in queste settimane sta offrendo la città di Lugano nell’affrontare la questione dell’autogestione, che, come altrove in Svizzera, anche in Ticino, da oltre vent’anni, è una realtà sociale, politica e culturale ben radicata.

 

Ma una realtà ferocemente avversata da una parte politica (una destra becera e ignorante capitanata da Lega e Udc), che si fa un baffo della democrazia e delle leggi e che esercita il potere in modo autoritario.


Succede così che in una serata di fine maggio in città scatta un’operazione di polizia che porta prima allo sgombero e poi, in piena notte, alla demolizione con le ruspe di una parte dello stabile, sede del Centro sociale autogestito il Molino. Senza una regolare licenza edilizia, senza aver accertato la presenza (probabile) di materiali contenenti amianto, senza adottare le dovute misure di protezione per i lavoratori intervenuti e per i cittadini che vivono nei dintorni. E senza alcuna trasparenza sul piano istituzionale. A quasi due settimane da questo gesto brutale e violento contro il simbolo dell’autogestione (e contro un bene pubblico) che ricorda i metodi di Israele nei confronti del popolo palestinese, ancora non si sa con esattezza chi e quando lo ha deciso, chi ha impartito l’ordine, chi sapeva e chi non sapeva.


Spiegata inizialmente dal Municipio di Lugano come una reazione di rappresaglia (un atto illecito persino nel diritto bellico) all’occupazione simbolica quel medesimo giorno da parte degli autogestiti di uno stabile abbandonato e che sarebbe stata decisa all’ultimo momento in fretta e furia “per ragioni di sicurezza” (quali, non si sa), la demolizione era in realtà programmata da giorni se non addirittura da settimane. Diversi sono gli elementi a conferma di questa ipotesi: gli ordini d’intervento alle imprese partiti prima che si verificasse la citata occupazione, gli operai allertati già alla mattina, la raccolta di informazioni (2-3 settimane prima) presso funzionari del Comune sulle condizioni dell’edificio poi abbattuto.

 

Ma l’aspetto davvero inquietante è che a fare tutto questo e a dirigere l’intera operazione sarebbe stata la Polizia (comunale e cantonale), mentre l’autorità politica cittadina, escludendo dalla discussione 3 membri dell’esecutivo su 7, avrebbe dato il suo nullaosta con le ruspe ormai già pronte a entrare in azione. E il Consiglio di Stato non sarebbe nemmeno stato informato.


La magistratura che sta conducendo l’inchiesta dovrà accertare eventuali responsabilità penali, ma la gravità della situazione impone chiarimenti anche sul piano istituzionale. Di qui la necessità di istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta (come già chiesto dal Movimento per il socialismo) che faccia luce su questo pericoloso protagonismo della polizia in un campo non suo e sulle responsabilità politiche di una deriva chiaramente autoritaria, in particolare sul ruolo avuto dal capo del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, che in questi giorni è stranamente silente ma che non ha mai nascosto di avere in odio l’autogestione (e qualunque altra realtà antagonista) e di non poter soffrire i valori che essa incarna: «Il Molino lo avrei già sbaraccato diversi anni fa», dichiarava il 5 maggio scorso in un’intervista al portale LiberaTv.

 

Gobbi, come responsabile della polizia cantonale, dovrebbe anche spiegare in virtù di quale legge sabato scorso delle pattuglie di polizia fermavano e impedivano a cittadini provenienti da nord in automobile di partecipare alla manifestazione di protesta tenutasi a Lugano e dunque di esercitare un loro legittimo diritto costituzionale.


Dopo episodi come questi, con politici e poliziotti che strapazzano le leggi e le istituzioni democratiche, in un paese normale ci si dovrebbero aspettare dimissioni a catena. Non è così che vanno le cose in Svizzera, ma è indispensabile chiarire fino in fondo ogni antefatto alla “Notte di Lugano” e individuare i responsabili. È un atto dovuto all’intera popolazione, perché questa violenza di Stato è una minaccia per tutti: questa volta ha colpito i Molinari ma un giorno potrebbe essere usata per reprimere degli operai in sciopero e qualsiasi altra forma di attivismo politico e sindacale sgradita ai potenti di turno.


In conclusione: la deriva democratica che sta vivendo la città di Lugano, come minimo, dovrebbe suggerire prudenza nell’attribuire maggiori poteri alla polizia.  

Pubblicato il 

08.06.21
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