Perché non vado dal Papa

Domani, sabato 5 giugno, non andrò a Berna per il primo Incontro nazionale dei giovani cattolici. Non ne faccio una ragione di principio, ma i ritrovi di massa, sia all’interno che all’esterno delle chiese, hanno sempre provocato in me resistenza e perplessità. Ho dunque deciso di restarmene a casa. E vorrei spiegarne i motivi. Un evento unico A Berna, domani pomeriggio, gli organizzatori attendono circa diecimila giovani cattolici nella pista di ghiaccio BernArena: almeno mille proverranno dal Ticino, accompagnati da parroci, catechisti, animatori parrocchiali e da mons. Pier Giacomo Grampa. Domenica, per la celebrazione eucaristica papale sul prato dell’Allmend, sono invece previste almeno cinquantamila persone. I due eventi saranno teletrasmessi in diretta dalle tre reti nazionali. Questi pochi dati danno già l’idea dell’importanza attribuita, non solo dai vescovi svizzeri, all’assemblea bernese. Se si tiene conto del dispiegamento di forze umane ed economiche, il quadro potrebbe essere ancor più completo: duecento volontari saranno all’opera sul posto, mentre mille poliziotti garantiranno il servizio d’ordine e la sicurezza di Giovanni Paolo II. Il preventivo di spesa complessiva è di 2,5 milioni di franchi, coperto da offerte raccolte nelle parrocchie e tra gli istituti religiosi, nonché da sponsor (tra cui figurano ditte spesso criticate in ambienti cattolici per la loro politica economica poco umanitaria quali Nestlé, Coca-Cola e Novartis). Bisognerebbe però aggiungere a questa lista l’impegno profuso da quanti hanno organizzato da Friburgo l’incontro con disponibilità limitate di personale e di mezzi finanziari e dai gruppi di lavoro in ogni Diocesi elvetica che l’hanno preparato sul piano locale da oltre un anno. Da non scordare sono le parrocchie, le comunità religiose ed i singoli credenti che hanno offerto preghiere per la riuscita dell’adunanza. L’intento dei promotori è di coinvolgere nell’avvenimento l’intera Svizzera cattolica. Unico del suo genere anche se non venisse il Papa, prende spunto dalle Giornate mondiali della gioventù, tenute nel corso dell’attuale pontificato in diverse città del mondo: le ultime sono state a Parigi, Toronto e Roma (nel 2000); la prossima sarà nel 2005 a Colonia. L’appuntamento di domani è posto sotto il motto “Alzati!”. Esso s’ispira alle parole rivolte da Gesù al giovane di Naim, di cui riferisce il Vangelo di Luca (7,14): figlio unico di madre vedova, del ragazzo si stanno tenendo i funerali, quando Gesù si commuove per lo strazio della donna e lo richiama in vita. Sulla base del racconto evangelico, i vescovi svizzeri hanno girato l’invito ai cattolici, in particolare alle giovani generazioni, a dare nuovo slancio alla loro pratica religiosa. Li chiamano ad affermare la loro appartenenza confessionale, a risvegliare la fede e la testimonianza cristiane, a celebrare il senso della comunione attorno a Gesù Cristo, alla chiesa ed al Santo Padre in un paese in cui sembrano diffondersi in misura crescente l’indifferenza ed il pluralismo religiosi. Una cristianità divisa Quale sarà la Svizzera che si presenterà all’incontro con Giovanni Paolo II? Le ultime statistiche sull’identità confessionale degli svizzeri indicano tre tendenze contrapposte: la diminuzione dei membri delle chiese tradizionali, l’aumento dei gruppi religiosi non istituzionali (chiese libere, sette o associazioni non cristiane) e l’ingrossamento delle fila degli indifferenti. Stando al censimento federale del 2000, i cattolici costituiscono il 41,8 per cento della popolazione, i protestanti delle diverse denominazioni il 33 per cento ed gli adepti di nessuna religione ben l’11,1 per cento, accanto al 4,3 dei musulmani, all’1,8 dei cristiani ortodossi, allo 0,2 dei cristiano-cattolici e pure allo 0,2 per cento degli ebrei. Come in tutte le nazioni occidentali, il panorama religioso elvetico si sta colorando di nuove entità. Di per sé, questo è un fatto positivo, ma rivela una conseguenza che fa riflettere: la forza dell’impatto sociale e politico delle chiese tende a diminuire, in quanto i cristiani non riescono a parlare con una sola voce, neppure quando si tratta di promuovere o difendere valori per loro tradizionali (quali la vita umana, la dignità di ogni essere umano o la famiglia), né possono farsi portavoce di istanze non cristiane. Altri tre avvenimenti recenti hanno suscitato qualche imbarazzo nella gerarchia cattolica nazionale. Stanno a indicare che non è scontato catalizzare attorno a quest’evento tutte le forze cattoliche. Alcune di esse si sono manifestate secondo modalità negative o perlomeno sollevando problemi che, di per sé, oltrepassano il valore intrinseco della visita papale. Si tratta della lettera promossa dal teologo contestatore lucernese Hans Küng e sottoscritta da una quarantina di teologi e parroci cattolici, con cui s’invita Giovanni Paolo II a dimissionare “per raggiunti limiti d’età”; in secondo luogo, del sondaggio svolto tra i cattolici d’Oltralpe su argomenti scottanti per la chiesa romana, come l’abolizione del celibato obbligatorio per i preti, l’ordinazione presbiterale di uomini sposati o delle donne. Infine, è lo sgarbo ecumenico all’indirizzo dei rappresentanti protestanti svizzeri: i vescovi li hanno invitati a partecipare alla liturgia domenicale all’Allmend, ma il Vaticano si è affrettato a precisare che non avrebbero potuto fare la comunione, in quanto non cattolici. Un ultimo dato non va dimenticato. La maggioranza dei partecipanti all’Incontro di Berna dovrebbe provenire dalle parrocchie e dai gruppi e movimenti ecclesiali, ed essere quindi costituita da cristiani in un qualche modo attivi nella propria chiesa. I lontani, cioè quelli che per differenti motivi hanno allentato o troncato i rapporti con l’istituzione ecclesiale, non saranno toccati che marginalmente dall’evento. Per contro, non è da escludere la presenza di curiosi e di cristiani tiepidi, alla ricerca di nuovi stimoli per la loro esile fede. Riuscirà quest’appuntamento a suscitare, insieme all’indiscusso interesse mediatico ed al comprensibile entusiasmo per l’anziano e sofferente Papa, un risveglio del cattolicesimo in Svizzera ed a sanare le divisioni al suo interno e con le altre confessioni cristiane? Sarà il tempo a rispondere a tale interrogativo.

Pubblicato il

04.06.2004 05:00
Martino Dotta