Perché la sinistra perde le elezioni

Sembra un paradosso: la destra avanza quasi dappertutto, anche se il sistema capitalista è più che mai in crisi. Nel mondo sviluppato sono ormai solo pochi ad arricchirsi sempre di più, mentre la maggior parte della popolazione o marcia sul posto o perde colpi. Nei paesi sottosviluppati poi stanno rapidamente aumentando non solo la povertà, ma addirittura la carestia e la fame. Il sistema finanziario sta vivendo la sua crisi peggiore da quella degli anni '30 del secolo scorso: ed è solo grazie agli insegnamenti di quella crisi e al generossissimo aiuto del tanto vituperato Stato, intervenuto a salvare dozzine di banche scricchiolanti, che sin'ora si è potuto evitare il peggio. Nonostante questi ed altri disastri e benché diversi studi mostrino che sui temi concreti l'opinione pubblica si sta spostando verso "valori di sinistra", in molti paesi è la destra a trarne profitto.
Dopo il disastro elettorale italiano e la fine del quasi altrettanto disastroso anno elettorale ticinese (solo il mio risultato per gli Stati, e mi scuso di essere io a doverlo dire, può essere considerato per lo meno soddisfacente), è ora di fermarsi un attimo a riflettere. Se Manuele Bertoli, come ha detto al recente Comitato cantonale del Partito socialista (Ps), pensa che ciò non sia necessario «perché c'è appena stato un congresso», dà una risposta burocratico-giuridica ad un problema squisitamente politico e dimostra di sottovalutare qual è la situazione reale. Come è stato il caso negli anni '30 del secolo scorso, anche stavolta se la destra si rafforza è in buona parte grazie agli errori della sinistra: in questo senso il caso italiano è addirittura da libro di testo.

Mancanza di analisi

Secondo me le radici del disastro risalgono al rifiuto di gran parte della sinistra d'analizzare seriamente ragioni e soprattutto conseguenze del crollo del Muro di Berlino. Non ho sicuramente lo spazio per farlo qui. Sono però convinto che è da quel momento che la sinistra ha perso quella che era la sua caratteristica peculiare: il saper analizzare l'evoluzione della società e dei rapporti sociali. Da questa analisi avrebbe potuto scaturire almeno la bozza di un'alternativa seria: si è invece preferito accontentarsi di una versione light del neoliberalismo (caso estremo, il famigerato manifesto Blair-Schröder). E anche se è sempre difficile sapere "se viene prima l'uovo o la gallina", si è quindi arrivati all'imborghesimento delle cerchie direttive della sinistra e ad un progressivo spostamento dell'interesse verso i ceti medi, tralasciando sempre più vistosamente quelli popolari. E oggi ne paghiamo il conto. Così mentre nell'opinione pubblica cresce la diffidenza ed il malcontento verso i managers ed i potenti dell'economia, contemporaneamente e paradossalmente i quartieri popolari (da Besso a Sesto San Giovanni, dalle borgate romane ai quartieri dissestati di Napoli) votano a destra. Ma tutto ciò non è una legge di natura. Quando la sinistra sa presentarsi con posizioni chiaramente e comprensibilmente classiste, viene immediatamente premiata: si veda il caso di Andrea Ypsilanti nelle recenti elezioni in Assia, il centro finanziario della Germania. La controprova l'abbiamo avuta a Londra: finché Ken Livingstone era un espulso dal Labour blairista, stravinceva. Rientrato nei ranghi e "moderatosi", è stato battuto. Come ha ben detto Marco d'Eramo nel Manifesto (4 maggio), è ora che molta sinistra riimpari di nuovo che compito di una forza politica è avantutto rappresentare gli interessi del blocco sociale che la elegge.

Gli errori strategici

Due sono secondo me gli errori strategici commessi in quest'ultimo decennio: la mancata ricerca di un "nemico" e di un progetto alternativo, che non può sicuramente essere rappresentato da una versione light del neoliberalismo. Così se Hans-Rudolf Merz dice «in caso di necessità, si potrebbe anche aiutare Ubs», da parte nostra ci si deve limitare a dire che ciò è «immorale», senza poter offrire alternative. I prezzi dei medicamenti mettono in crisi i sistemi sanitari e provocano la morte di centinaia di migliaia di persone nel Terzo Mondo, perché nessuno può comprarli? Anche qui ci si limita a discorsi moralistici, senza andare alla radice del problema. Se lo facessimo, saremmo forse in grado di dire che regole bisogna imporre alle banche e magari potremmo addirittura ridiscutere sui possibili vantaggi e svantaggi di una nazionalizzazione di Roche e Novartis. Ora che le ricette neoliberiste stanno miseramente fallendo ad ogni latitudine, sarebbe forse ora di riprendere simili discussioni. Dopo una serie di batoste, il Ps francese lo sta facendo ed ha lanciato una campagna per capire che cosa significhi «una società basata su un mercato regolato dallo Stato».
Essendo venute a mancare le idee forti, nell'ultimo decennio non siamo più neanche stati capaci di definire quali sono gli avversari. Ora l'abc dello scontro politico ci insegna che, da che mondo è mondo, per avere successo si è sempre avuto bisogno di individuare degli avversari, se non addirittura dei nemici.


E per capire ciò non c'è neanche bisogno di rispolverare la scoperta di Marx sul ruolo fondamentale della lotta di classe nella storia politica. Anche qui gli esempi si sprecherebbero. Il più macroscopico è quello della ex-Jugoslavia: spariti i nemici esterni (Unione Sovietica, Stati Uniti) ed interni (lotta ai capitalisti), le varie etnie hanno ripreso a spararsi addosso. E se Veltroni mette nello stesso calderone operai e managers, dicendo che è ora di abolire ogni antagonismo, è evidente che poi gli strati popolari si cercheranno altri nemici su cui sfogare il proprio malcontento per le crescenti difficoltà economiche: i Rom, gli immigrati, i terroni. E, per tornare a casa nostra: forse è ora di ricominciare a dimostrare che i rifugiati economici sono provocati soprattutto dallo sfruttamento del Terzo Mondo da parte di Blocher e degli altri grandi capitalisti. Allora forse qualcuno la smetterà di votare Udc o Lega.

E le Officine?

Anche quanto capitato recentemente alle Officine di Bellinzona conferma quanto sto dicendo. Se questo sciopero è diventato il più importante da quello generale del 1918 e se si è arrivati ad un passo da una rivolta popolare, era perché c'erano dei nemici ben identificati: i managers super pagati delle Ffs ed i "balivi d'oltralpe", che volevano strozzare il Ticino. Semplificazioni azzardate? Non credo. Anzi, a livello di comunicazione, contrariamente a Manuele Bertoli, io non ho nessuna paura di dire che un certo "leghismo di sinistra" oggigiorno è necessario. Altrimenti Berlusconi e tutti gli altri baroni dell'informazione (anche quelli locali) continueranno a strizzare i cervelli della maggioranza della popolazione.
C'era anche chi aveva sperato che lo sciopero delle Officine avrebbe potuto darci un colpo di mano alle elezioni comunali. Purtroppo altri sono stati, anche in questo caso, più bravi di noi. Non da ultimo perché non dovevano tirare, "come un gatto per la coda", il consigliere federale Moritz Leuenberger e perché non avevano neanche un presidente nazionale quasi assente. Purtroppo anche buona parte dell'ufficialità Ps-ticinese si è mostrata poco alle Officine. Contrariamente alla nostra base, che c'era tutta e sempre. È questa l'unica nota che mi rende ottimista per il futuro.

P.S.: Tralascio di commentare, per amor patrio (cioè di partito) le sceneggiate tragicomiche sulla designazione del candidato Ps alla vicepresidenza del Gran Consiglio.

Pubblicato il

09.05.2008 13:00
Franco Cavalli
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