L’attualità delle ultime settimane è stata certo generosa di spunti, alcuni tragici come ad esempio la morte di Marco Pantani ed altri divertenti (ma per certi versi anche preoccupanti) come le esternazioni tattiche di un Berlusconi incontenibile. Interessante, a questo proposito, quanto ha scritto Michele Serra su “la Repubblica” del 24 febbraio: «Sbucare da ogni cantone, da ogni video, vantandosi di essere Berlusconi alla lunga suscita, anche nei passanti più distratti, un senso di indifferenza prima, di saturazione poi, infine di esasperazione. E tra gli ingredienti più importanti dell’umor popolare c’è quella variante primaria del buon senso che è il senso del limite. Anche il più potente dei Grandi Fratelli ci mette un attimo a diventare solo uno zio invadente». L’invadenza mediatica ed il senso del limite: il problema sta proprio qui, nel capire e valutare quando non bisogna andare oltre i confini dello sfinimento. Ed il Cavaliere, con quella sua orgogliosa e tracimante petulanza, queste frontiere le valica oramai quotidianamente: peccato che nella vicenda “Ancelotti e le due punte”, il mister rossonero non abbia rassegnato le dimissioni. Sarebbe stato un gesto forte, esemplare e coraggioso; probabilmente però il buon Carletto ha fatto due conti e ha così abbassato la testa. Di limiti ne sono stati superati molti anche nella triste storia di Pantani: troppi hanno sbandierato, alcuni anche ipocritamente, la loro opinione su un dramma che non ha dei colpevoli. Deve far riflettere, invece, come ha ben ricordato Umberto Galimberti su “la Repubblica” del 18 febbraio, «l’assoluta solitudine in cui era stato lasciato negli ultimi anni, quando le glorie del campione cedevano il posto alle sofferenze mute e forse abissali dell’uomo. Educati come siamo alla cultura dell’applauso non sappiamo neanche dove sta di casa la cultura dell’ascolto», una cultura più attenta alla solitudine degli uomini. Ci entusiasmiamo per le prodezze dei campioni e ci esaltiamo per le vittorie: giusto e legittimo, ma lo sport è anche sconfitta o, se volete, semplicissima, nobile e onorevole partecipazione. Sarà scontato, ma giova ribadirlo in una società in cui conta soprattutto vincere perché vincere significa avere successo, ma soprattutto possedere il potere e i soldi. Le degenerazioni e gli eccessi dello sport odierno sono visibilissimi: il doping, i club con dei bilanci improponibili e catastrofici, la disarmante omologazione degli atleti, i continui capricci di vere o presunte star e via di questo passo, il tutto perché il carrozzone sportivo deve andare avanti, più avanti possibile, a qualsiasi costo. Per riconciliarsi con lo sport che conta, quello dei veri valori, dei sentimenti e degli ideali, vi consiglio due splendidi libri, entrambi editi dalla Mondadori. Il primo è di Jorge Valdano e s’intitola "Il sogno di Futbolandia. Appunti di vita e di calcio": è un eccellente antidoto al calcio “geneticamente modificato” dei nostri giorni. Il secondo, "Lettera a mio figlio sul calcio" di Darwin Pastorin, è un tenero racconto di un calcio dignitoso e a misura d’uomo. E a proposito di figli, quando il mio che ha quasi sette anni mi dice «Papà, perché il Milan non dà qualche punto all’Ancona?», lo guardo e, con infinito amore paterno, gli rispondo: «Sì Giovanni, sarebbe bello !».

Pubblicato il 

05.03.04

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