Paura a uscire di casa la sera, furti nelle case, rapine nei negozi: un clima di insicurezza si va diffondendo fra la popolazione ticinese. Ma si tratta di insicurezza reale o percepita? La domanda che l’intervistatore rivolge alla consigliera nazionale chiassese è cruciale: bisognerebbe finalmente chiarire se i cittadini di questo cantone hanno motivi reali di temere per i propri beni e per la propria incolumità oppure se sono vittime di una campagna di informazione che fa della paura la base su cui costruire una determinata politica. «Reale e percepita» risponde lei, che sembra ignorare, oltre alla differenza fra la congiunzione copulativa e la congiunzione disgiuntiva, anche i dati diffusi dalla polizia cantonale, che mostrano per il 2015 una netta diminuzione rispetto al 2014 dei furti con scasso (–25%) e in genere dei reati contro il patrimonio (–14,7%), in linea con quanto si era già registrato l’anno precedente. Il Ticino ha una discreta esperienza nel fai da te con le statistiche. Tutti ricorderanno le pressioni fatte diversi anni or sono da parte degli albergatori di questo cantone perché venissero un po’ “abbellite” le previsioni del tempo di MeteoSvizzera riguardanti il sud delle Alpi, per non scoraggiare i turisti a trascorrere il fine settimana da noi. A Berna staranno ancora ridendo. Meno comico invece è il disprezzo per i dati reali a proposito del cosiddetto effetto sostituzione, in vista della votazione sull’iniziativa “Prima i nostri”. I frontalieri sono accusati di togliere il posto di lavoro ai residenti: «Se in Ticino il numero dei disoccupati residenti aumenta, e il numero dei frontalieri aumenta anch’esso, questa non è già una prova evidente che a lavorare in Ticino non sono più i residenti ma i frontalieri?», ha scritto un deputato della Lega. È vero, il numero dei lavoratori frontalieri non ha cessato di crescere in questi anni: erano 28.797 nel 2000, 48.305 nel 2010, 62.179 nei primi mesi del 2016. Per quanto riguarda invece i residenti disoccupati iscritti nelle liste degli Uffici regionali di collocamento, negli stessi anni essi non sono aumentati, ma... diminuiti: 6.134 nel 2006, 5.511 nel 2015 e 5.154 a fine agosto di quest’anno. È anche vero – commenta l’Annuario statistico ticinese – che a poco a poco l’ambito di impiego dei frontalieri si sta estendendo a rami economici non tradizionalmente legati al lavoro frontaliero, ma industria, commercio, costruzioni, alberghi e ristoranti, sanità e assistenza sociale rimangono per essi i datori di lavoro nettamente maggioritari. Le cifre fredde delle statistiche non dicono che nell’industria ci sono operai che un mese sì e uno no si vedono diminuire la paga con il pretesto del franco forte, che nel settore del commercio ci sono le commesse dei negozi a 3.200 franchi al mese, che nelle costruzioni lavorano i muratori, i carpentieri e i manovali ogni giorno sotto il sole o la pioggia, che gli alberghi e i ristoranti sono pieni di cuochi, lavapiatti e camerieri a dire di sì ai clienti dal mattino alla sera, e nella sanità e nell’assistenza sociale lavorano le infermiere dei nostri malati e le badanti dei nostri anziani che noi non abbiamo il tempo di accudire. Sono i mestieri umili che permettono al resto della popolazione di passare al settore terziario e scegliere le professioni più prestigiose e gratificanti, perché la società è mobile non solo in senso orizzontale con le migrazioni, ma anche in senso verticale con la scalata sociale. “Prima i nostri” lo dice anche la destra italiana accusando i quattrocentomila braccianti magrebini e rumeni che si rompono la schiena nei campi del sud di essere sempre in testa alle liste per l’assegnazione delle case popolari, togliendole agli italiani, mentre tutti sanno che gli stranieri dopo giornate di lavoro massacrante sono costretti a dormire sotto teli di plastica o sotto i viadotti. Essere carnefici e percepirsi come vittime, è il tratto distintivo della psicologia fascista.
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