Come sempre, nei periodi di cambiamenti legislativi in ambito previdenziale, tra i lavoratori sale la preoccupazione per le possibili conseguenze che vi potranno essere a livello personale. Ciò è accaduto spesso anche nel mondo dell'emigrazione italiana in Svizzera. Ma per l'emigrazione italiana, fin dagli anni Sessanta, la più forte preoccupazione vi è stata indubbiamente per la Cassa Pensione, nei confronti della quale ha avuto sempre un rapporto di amore/odio. D'amore, perché vi era la consapevolezza che al termine del rapporto di lavoro e del rimpatrio si aveva diritto alla riscossione in contanti del capitale accumulato anche grazie al finanziamento del datore di lavoro e quindi ad un gruzzolo (a volte cospicuo) da investire in Italia per affrontare la vecchiaia con maggior tranquillità. D'odio, perché ad ogni prospettiva di modifica della normativa previdenziale vi era il terrore che venisse bloccata la possibilità della riscossione del capitale del Secondo Pilastro e restasse unicamente la rendita mensile come con l'Avs. Ciò è avvenuto, peraltro, frequentemente. Una prima volta alla fine degli anni Sessanta in occasione della votazione popolare che istituì il sistema previdenziale dei Tre Pilastri; una seconda volta, nel 1985, quando poi entrò in vigore la Legge sulla Previdenza Professionale (Lpp); una terza volta, nel 1992, quando c'era in ballo l'adesione della Svizzera allo Spazio Economico Europeo (See), respinto poi in votazione popolare. Infine agli inizi di questo decennio con gli Accordi bilaterali tra la Confederazione e l'Unione Europea che, tuttavia, su pressione dell'Unione Sindacale Svizzera (Uss) previdero un periodo transitorio di cinque anni per il cambio di normativa a riguardo della capitalizzazione del secondo pilastro nel caso di trasferimento di residenza dalla Svizzera ad un Paese dell'Ue o dell'Aels. In ognuna di queste occasioni vi è sempre stato un fuggi, fuggi dalla Svizzera di migliaia di emigrati italiani che temevano di non poter più riscuotere in contanti il capitale della cassa pensione. Tutto ciò, in verità, come ben sappiamo, non è mai avvenuto ma accadrà dal prossimo primo giugno quando, appunto, terminerà il periodo transitorio di cinque anni previsto dagli Accordi bilaterali Svizzera-Ue. Anche con l'avvicinarsi di quest'ultima scadenza la preoccupazione dei lavoratori emigrati italiani più anziani è salita alle stelle e molti di loro hanno pensato di abbandonare la Svizzera spinti sempre dalla stessa paura. Per fortuna che in tanti di loro hanno ascoltato gli appelli del sindacato Unia che, in collaborazione con i patronati italiani, l'Ital-Uil e l'Inca-Cgil, ha organizzato in tutta la Confederazione centinaia di assemblee, sempre affollatissime, per cercare di spiegare ai lavoratori il vero cambiamento che vi sarà nella riscossione del capitale della cassa pensione dal prossimo primo giugno: un cambiamento che riguarderà unicamente coloro che da quella data in poi, non essendo ancora nella fascia d'età del quinquennio che precede il pensionamento ordinario di vecchiaia dell'Avs, decideranno di interrompere la loro attività nella Confederazione per continuarla in un Paese dell'Ue o dell'Aels. Ma quanti mai saranno gli emigrati italiani (ma anche spagnoli o portoghesi, ecc.) interessati? Si suppone che, in effetti, non siano molti ma, in ogni caso, chi lo fosse è consigliabile che prima di prendere decisioni affrettate si consigli con l'Unia oppure con un esperto dell'Ital-Uil o dell'Inca-Cgil! |