Sulla prima pagina del Mattino della Domenica dello scorso 6 novembre il presidente a vita (sic) della Lega dei ticinesi Giuliano Bignasca, con il suo solito uso vigoroso della punteggiatura forte, anzi fortissima (ben 15 punti esclamativi tra occhiello, titolo e sottotitolo), propone di smantellare il Dicastero Integrazione di Lugano per sostituirlo con quello dei rimpatri. Motivo: i troppi stranieri che fanno capo alle prestazioni assistenziali sfruttando gli “allocchi” (epiteto bignaschiano) ticinesi che pagano per mantenerli. Grazie alla sue indiscusse capacità demagogiche Bignasca interpreta e si fa portavoce di un modo di sentire che tende ad equiparare gli stranieri a dei parassiti che vivono alle spalle della brave gente (autoctona) che lavora. Pertanto, questa è la logica deduzione, non serve a niente parlare di integrazione: meglio cacciarli via. Non è la prima volta che il nostro usa toni di questo genere. Per lui i richiedenti asilo, i rifugiati ma anche gli stranieri domiciliati che hanno contribuito e contribuiscono a fare della Svizzera il primo o il secondo paese più ricco del pianeta, sono come fumo negli occhi. Gli stranieri sarebbero soltanto un problema sociale, nella migliore delle ipotesi sono buoni esclusivamente come forza-lavoro a buon mercato da spremere come un limone e poi rispedire a casa loro investendo al massimo nel biglietto di sola andata. Nessuna visione è più lontana dalla nostra di questa del municipale leghista di Lugano. Sos Ticino si impegna e lo farà con più forza anche in futuro per un ampliamento delle politiche di integrazione, le uniche in grado di dare delle risposte certe alle sfide che ci vengono poste dai mutamenti economici, sociali e demografici dei nostri tempi. Le politiche di integrazione devono rivolgersi non solo ai migranti ma anche alle comunità locali. Esse, infatti, per essere veramente efficaci devono, da un lato, consentire agli stranieri facilità di accesso a beni e servizi e a condizioni di vita dignitose, e, dall’altro lato, richiedere la loro partecipazione attiva ai processi politici e sociali delle comunità di accoglienza nel rispetto dei valori e dei principi propri di ciascun individuo e comunità. Se non si procede a portare avanti delle serie politiche integrative culturali e sociali il risultato sarà un acuirsi delle tensioni che avranno come protagonisti i soggetti più esclusi ed emarginati, gli ultimi tra gli ultimi. Pertanto, ben vengano i dicasteri all’integrazione che dialogano con le comunità dei migranti e che insieme costruiscono una società solidale dove tutti possano sentirsi cittadini a tutti gli effetti, senza distinzione di religione, colore della pelle, lingua e dialetto (anche ticinese). Ci piace concludere questo breve scritto con una delle frasi più belle di don Lorenzo Milani, il parroco di Barbiana, a proposito della distinzione tra italiani e stranieri (se a “italiani” sostituiamo “svizzeri” il contenuto non cambia): “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri.” Per don Milani, ma anche per noi, Bignasca è uno straniero in Svizzera.

Pubblicato il 

25.11.05

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