Mercoledì a Bellinzona erano un centinaio a manifestare la loro opposizione a nuove deroghe alle aperture dei negozi durante il mese di dicembre chieste dalla Federcommercio e concesse dal Consiglio di Stato. Nuove deroghe in un mese in cui i commerci rimangono già aperti 24 giorni consecutivi. A guidare la protesta, il sindacato Unia, solo fino a pochi giorni fa quando all'esercito della protesta si sono uniti anche 110 piccoli commercianti che chiedono al Governo di tenere debitamente in considerazione anche le esigenze del piccolo commercio, patrimonio storico del tessuto economico e sociale del cantone. Le ragioni della protesta con Enrico Borelli del sindacato Unia.
Enrico Borelli oggi le deroghe nei negozi per molti ticinesi sembrano qualche cosa di normale. Ma quando si è iniziato ad autorizzare aperture straordinarie dei negozi? Le aperture domenicali prenatalizie esistono da circa un ventennio; le aperture serali del giovedì sono state autorizzate dal governo nel 1997. Per quel che riguarda le deroghe alle aperture sono una realtà sempre più presente dopo che l'allora sindacato Sei riuscì a raccogliere le firme necessarie per opporsi a una modifica della legge sul lavoro che avrebbe regolarizzato queste aperture. La legge non venne così modificata ma da allora conosce continue deroghe. La situazione ticinese è un caso più grave di altre realtà? La dinamica delle deroghe è un problema arrivato in Ticino dalla vicina Europa dove la situazione è ancora più drammatica rispetto a quella che conosciamo noi. Ma proprio perché vediamo i danni nei Paesi a noi confinanti che è necessario agire preventivamente prima che sia troppo tardi. Anche a livello svizzero possiamo dire che il nostro contesto è meno deregolamentato di altri, e questo in parte proprio grazie alla forte presenza sindacale da noi tradizionalmente più forte che nel resto del Paese. Torniamo al Ticino. Secondo la Federcommercio, la situazione di quest'anno non è così drammatica come la dipinge Unia in quanto "queste deroghe non sono una richiesta in più bensì una modifica tecnica delle aperture settimanali del giovedì"... Tecnicamente la si può vedere anche così; tuttavia la realtà cui i lavoratori sono confrontati è un'apertura dei negozi durante 24 giorni consecutivi. A nostro avviso quest'anno si è voluto forzare la decisione del Governo del 1997 non sapendo rinunciare all'apertura del giovedì sera (il giovedì cade quest'anno proprio il giorno di Natale. Secondo le disposizioni legali è possibile spostare questa apertura settimanale il giorno feriale precedente, che in questo caso sarebbe la vigilia di Natale, ndr) in un periodo, come il mese di dicembre, in cui i lavoratori e di conseguenza anche le loro famiglie, sono già enormemente sollecitati. Voi dite di voler difendere i lavoratori e le loro famiglie. Tuttavia nessun altro sindacato si oppone alle nuove deroghe, nemmeno l'Ocst tradizionalmente sensibile alle famiglie. Come mai siete rimasti soli? Si potrebbe pensare che state esagerando… Noi abbiamo fatto la nostra scelta in base alla quale portiamo avanti la difesa dei lavoratori e delle loro famiglie. Tuttavia non è vero che siamo soli: la nostra battaglia è condivisa e sostenuta da centinaia di lavoratori. Ma non solo: proprio lunedì scorso al nostro "esercito" si sono aggiunti anche 110 titolari di piccoli commerci che in tre giorni hanno sottoscritto un appello indirizzato al Governo esprimendo forte preoccupazione per il processo di progressiva e continua deregolamentazione degli orari dei negozi sostenuto da Federcommercio e dallo stesso Consiglio di Stato. La Federcommercio sostiene che lavorare "fuori orario" non è un'imposizione aziendale bensì una scelta del singolo lavoratore il quale, inoltre, per tutte le ore supplementari o fuori orario che esegue è pagato di conseguenza. Vista la lotta che portate avanti c'è chi vi accusa di ostacolare la libertà di scelta del singolo di lavorare di più per guadagnare di più… Sulla carta questa libertà di scelta in effetti esiste; una libertà che purtroppo non ritroviamo nella realtà. Di fatto più che libertà di scelta a lavorare di più, avviene che i gerenti dei negozi "strappano" ai dipendenti il loro accordo. In questo settore, e in particolare nelle grandi catene di distribuzione, il controllo dei lavoratori è molto sviluppato: le assenze o i rifiuti sono ormai elementi sufficienti per penalizzare il dipendente tanto che nella maggior parte dei casi in questo settore le persone vanno a lavorare anche malate… Questa è la reale libertà di un settore in cui non esiste un contratto collettivo di lavoro generalizzato, non vi è nessun organo di controllo dei diritti dei lavoratori, né vi sono diritti sindacali. Malgrado i nostri sforzi non abbiamo ancora un rapporto di forza e una capacità di mobilitazione come in altri settori. Enrico Borelli come è possibile che in un settore importante come quello della vendita ci siano da un lato la parte sindacale che denuncia l'assenza di un contratto collettivo e, dall'altro, la Federcommercio che ne vanta l'esistenza? In questo settore non esiste nessun contratto di categoria non solo a livello cantonale ma nemmeno a livello federale. Esistono invece dei contratti singoli. A livello cantonale, esiste una bozza di contratto. Preparato dall'Ocst. Il problema è che questo contratto non è praticamente sottoscritto dalle aziende, non è dunque applicato né è vincolante. E quel che è peggio è che non esiste nemmeno un organo paritetico di controllo dei diritti e doveri del settore... Se a livello di contratto collettivo il Ticino fa acqua, a livello legislativo la situazione non è migliore. Secondo la Federcommercio responsabile di questo "vuoto legale" sarebbe proprio Unia, un sindacato non disposto a sedersi al tavolo delle trattative… Unia ha ribadito più volte la sua disponibilità a entrare nel merito di un contratto collettivo e della legge sull'apertura dei negozi. Nell'ultimo anno, la prevista riunione sul tema è stata rinviata almeno 7 volte dalla ministra dell'economia. Nel solo incontro che ha avuto luogo l'associazione dei Distributori ticinesi (Disti) ha lasciato intendere la sua reticenza in materia. Tutto ora è rinviato a gennaio 2009… La Federcommercio vi accusa anche di ostacolare i commercianti proprio ora che necessiterebbero di nuova linfa vista la crisi finanziaria. Tanto più che l'interessante cambio con l'euro può favorire lo shopping oltre frontiera, dove i negozi sono quasi sempre aperti… Unia rema contro il commercio ticinese? Innanzitutto ritengo che oggi per rilanciare il consumo occorre rilanciare il potere di acquisto e non dilatare le aperture dei nostri negozi. Noi non vogliamo ostacolare nessun commercio, del resto già oggi accettiamo che i negozi siano sempre aperti sei giorni su sette, il giovedì sera anche fino alle 21, accettiamo le aperture natalizie e le aperture prolungate nella fascia di confine. Le occasioni oggi di fare shopping in Ticino sono già moltissime. E anche dal punto di vista del numero dei centri commerciali il nostro cantone è tra quelli con l'offerta più grande, occupando una grossa fetta del nostro territorio, creando inoltre non pochi problemi pianificatori. Tutto questo non basta? Allora dobbiamo sederci a un tavolo e riflettere, anche dal punto di vista culturale, sul senso dello shopping per il nostro Cantone. Nella vicina Italia, dove i centri commerciali e le deregolamentazioni impazzano, negli ultimi anni – nella sola Lombardia – sono stati chiusi 12 mila piccoli commerci. Per fortuna in molte provincie del nord Italia si è capito di aver passato un limite e si sta ragionando sulla possibilità di ridurre le aperture domenicali.
|