Come sarà il nostro futuro sul quale pende la spada del coronavirus, tutt’altro che debellato? Il coronavirus ci ha fatto scoprire i costi umani, sociali ed economici, provocati dall’assenza di regole globali sulla tutela della salute generati da un sistema economico a misura di merci e capitali, senza vincoli su questioni dei diritti umani, del lavoro e dell’ambiente. La pandemia ha rivelato le traballanti fondamenta della globalizzazione considerata come unico modello capace di assicurare abbondanza ed efficienza e di offrire merci e servizi, a prezzi sempre più bassi. Le misure urgenti decretate dagli stati, perlopiù finanziate a credito (quindi da rimborsare... chi pagherà?) tamponano l’emorragia, ma sono insufficienti: essendo compensatorie, non modificano la struttura esistente e non cambiano il modello di sviluppo. Che fare dunque. Non vi sono ricette pronte. Tuttavia traendo insegnamento da quanto accaduto dobbiamo ammettere che la produzione di beni e servizi basilari non può essere lasciata in mano al mercato, perché: 1) il mercato reagisce solo alla domanda solvibile (di chi è in grado di pagare), ignorando il resto anche se si tratta di bisogni fondamentali come cure sanitarie e dentarie, alloggi per bassi redditi, asili nido, dopo scuola ecc.; 2) l’efficienza finanziaria (produzione just in time) riduce a zero le scorte, ma quando v’è domanda non programmata, coronavirus docet, l’offerta è insufficiente e tardiva: deficit di strutture sanitarie, mancanza di materiale e medicamenti di base, mascherine ecc.; 3) dal punto di vista economico la salute è un bene pubblico globale, perché, osserva Mario Pianta, «non è semplice merce da produrre per essere venduta a consumatori individuali, ed è minacciato dalla mancanza di salute o dall’insorgenza di epidemie». “Occorre riconoscere l’esistenza di beni pubblici, extra mercato quali: la pubblica amministrazione della legge e dell’ordine, delle prestazioni sociali, dell’istruzione; ma pure l’area dei servizi: asili, ospedali, case di riposo” e anche “alcune aree di produzione” disse nel 1997 Ralf Dahrendorf professore, patron dell’Internazionale liberale. Forse Macron se ne è ricordato affermando che «assistenza sanitaria gratuita e stato sociale non sono costi o oneri, ma beni preziosi e indispensabili»; che «vi sono beni e servizi che devono essere collocati al di fuori delle leggi del mercato...». Insomma il futuro modello di economia dovrà considerare il bene pubblico sganciato dalle leggi di mercato. In primis la salute (diritto sancito a livello internazionale) e tutto il welfare (dal sistema pensionistico a quello del garantire a tutti un reddito base), nonché il funzionamento dell’amministrazione pubblica che tre decenni di politiche neoliberiste secondo il motto “affama la bestia” (privatizzazioni e tagli di spesa e non da ultimo sussidiarietà) hanno ridimensionato, costringendo le agenzie pubbliche a limitare le proprie attività, e/o fornire solo a pagamento molti servizi, perdendo universalità e provocando l’esclusione. Da non dimenticare, ovviamente quale bene pubblico, l’ambiente, i suoi elementi (acqua, aria, terra, sottosuolo, minerali...) e l’insieme della biosfera di cui facciamo parte che non possono essere considerati semplici risorse. Il modello di sviluppo per il futuro dovrà adempiere a due condizioni fondamentali: • soddisfare i bisogni fondamentali di ogni individuo di questo globo: cibo, acqua, alloggio, salute, educazione, integrità e sicurezza; • garantire la sostenibilità salvaguardando l’ambiente, tutte le risorse naturali e la biosfera arrestandone la distruzione sistematica. Tra il dire e il fare c’è l’inerzia del sistema: dalle pressioni dei potenti (sistema bancario commerciale e della finanza) alla sudditanza della politica.
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