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Per i frontalieri servono soluzioni, non tasse

I sindacati italiani e svizzeri tornano alla carica contro il balzello sulla salute deciso quasi 2 anni fa dal governo italiano ma tuttora arenato: riformare senza penalizzare

A quasi due anni dall’introduzione della cosiddetta tassa sulla salute per i frontalieri italiani in Svizzera che rientrano nel vecchio regime fiscale, il provvedimento è tuttora arenato tra problemi di attuazione, perplessità politiche e di carattere costituzionale. Ciò è la conferma delle criticità denunciate fin dall'inizio dai sindacati, che in un comunicato odierno ribadiscono: “È una misura sbagliata, che va ritirata”.

 

Un comunicato stampa firmato dalle principali organizzazioni sindacali italiane e svizzere (CGIL, CISL e UIL, Unia, OCST, Syna, VPOD e syndicom) in cui si ricorda innanzitutto come le Regioni di confine dopo 21 mesi non abbiano ancora definito le modalità per rendere operativa la tassa. “Un balzello ingiustificato che introduce una doppia imposizione per i lavoratori frontalieri tutelati dalla clausola di salvaguardia, i quali devono continuare a essere tassati esclusivamente in Svizzera, generando gettito per l’Italia attraverso i ristorni fiscali”, si legge nella presa di posizione. E oltre a ciò la tassa andrebbe definita sulla base di redditi non disponibili (i dati non possono essere chiesti alla Svizzera senza violare il trattato bilaterale) e avrebbe un’efficacia pratica nulla come deterrente all’emigrazione sanitaria.

 

I ‘vecchi’ frontalieri contribuiscono già al sostegno dei territori italiani con il meccanismo dei ristorni fiscali”, ricordano le organizzazioni sindacali, ribadendo la loro “netta contrarietà” alla tassa. Una parte consistente – il 40% delle imposte pagate in Svizzera – viene retrocessa all’Italia, garantendo ai Comuni di frontiera risorse vitali per servizi e amministrazioni. Piuttosto che inventare nuove tasse, dicono, basterebbe gestire meglio questi fondi: oggi, una parte destinata agli investimenti viene spesso dirottata ad altri usi. “È proprio su questa parte che si può intervenire per finanziare il sistema sanitario, evitando soluzioni incostituzionali”, scrivono i sindacati.

 

Intanto, anche sul fronte politico, crescono le perplessità e l’ostilità nei confronti della tassa sulla salute: il Piemonte ha espresso apertamente la propria contrarietà, Valle d’Aosta e Alto Adige si sono trincerati dietro un silenzio eloquente, e persino nella Lombardia a guida leghista si moltiplicano distinguo e mozioni che chiedono una verifica di legittimità. Ormai non si parla più di “contributo”, ma di “tassa”, con tutto il carico di impopolarità che il termine porta con sé. “Dopo 21 mesi di mancata applicazione, è evidente che non ci troviamo solo di fronte a ritardi burocratici, ma a problemi strutturali del provvedimento stesso”, scrivono le organizzazioni sindacali, ribadendo la necessità di “finalmente affrontare le vere priorità del lavoro frontaliero”, a partire dalla questione dello Statuto dei lavoratori frontalieri.

 

Pubblicato il

23.04.2025 15:49
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