Anno 2020, anno del coronavirus. La Svizzera attende fino al 6 luglio per introdurre l’obbligo di indossare la mascherina sui mezzi pubblici, fino al 19 ottobre per estenderlo a stazioni, aeroporti e ai luoghi chiusi accessibili al pubblico, addirittura fino al 29 ottobre per imporlo anche all’esterno (ma solo laddove non possono essere mantenute le distanze, in pratica a discrezione del singolo). Anche la chiusura totale delle discoteche viene decretata solo il 29 ottobre, così come la chiusura alle 23 di bar e ristoranti per i quali una nuova stretta è arrivata il 12 dicembre. In mezzo a tutto questo, il 1° ottobre viene abrogato il divieto nazionale per grandi manifestazioni e si aprono gli stadi di calcio e di hockey. È un elenco di date e decisioni che ben racconta la disastrosa gestione della seconda ondata della pandemia da parte del Consiglio federale e che spiega la drammatica situazione epidemiologica, economica e anche sociale in cui ci troviamo oggi, condannati a vivere il Natale e le festività di fine anno sull’orlo del precipizio e in attesa di restrizioni e misure drastiche e dolorose per tutti. Misure che il Consiglio federale dovrà in questi giorni forzatamente adottare a fronte del fallimento totale della “via svizzera” nella lotta al coronavirus e degli accorati appelli che giungono sia dal settore ospedaliero ormai vicino al collasso, sia dalla società civile che denuncia l’incompatibilità di questo lassismo con i valori morali fondamentali del nostro Stato. Perché la scelta “liberale” di puntare tutto sulla responsabilità individuale ha prodotto e sta producendo un inaccettabile eccesso di morti e immani sofferenze per molti nostri concittadini. Nessun paese ha trovato ricette miracolose contro questo virus bastardo, ma la maggior parte ha fatto e sta facendo di più e meglio per cercare di contenerne la diffusione. In molti stati europei le restrizioni da noi introdotte tra ottobre e dicembre valevano o sono state adottate già in estate e si accompagnavano a ulteriori misure quali la chiusura di discoteche e centri fitness, il coprifuoco, il confinamento perimetrale, il divieto di fumare e bere all’aria aperta eccetera. Questo non li risparmia da un Natale di ulteriori rinunce, ma consente loro di entrare nel 2021 con numeri di contagi, di morti e di incidenza della malattia in diminuzione e dunque con un cauto ottimismo. Cosa che non può certo fare la Svizzera, che solo il 12 novembre prevedeva con la sua strategia di dimezzare il numero dei casi ogni due settimane per arrivare a circa 500 casi giornalieri a inizio gennaio ma che resta ai piedi della scala con gli attuali oltre 4.000 casi al giorno in media e in crescita esponenziale, un tasso di positività sopra il 15 per cento, più di 100 decessi al giorno. «Non c’è più tempo», avvertono gli esperti della task force del Governo, il quale però anche negli ultimi giorni ha continuato a tergiversare, a fare dichiarazioni contraddittorie e promesse fuori luogo (ristoranti e bar aperti fino alla 1 di notte per Natale e Capodanno). E ad alimentare così confusione e insofferenza sia tra gli operatori economici sia tra i cittadini, il cui livello di sopportazione e di comprensione per le misure restrittive sta pericolosamente precipitando. Non è un caso che secondo un recente sondaggio quasi 1 svizzero su 3 ritiene che il problema della pandemia venga ingigantito e 1 su 5 pensa che il numero dei morti per Covid venga artificialmente aumentato. Se siamo arrivati oggi a questo punto, con oltre 6.000 morti (reali) e sull’orlo di un nuovo lockdown e con interi settori economici in ginocchio, è dovuto in gran parte al lunghissimo elenco di scelte ciniche, sbagliate o fuori tempo operate dalla politica (a tutti i livelli) e alle misure blande adottate. Non solo al coronavirus.
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