Pensioni, si fa un salto nel buio

Uno dei più velenosi lasciti del governo Berlusconi è la controriforma previdenziale del ministro del welfare Roberto Maroni, passata alla storia per il famigerato "scalone". Lo scalone è un salto nel buio: dal 1° gennaio del 2008 l'età della pensione si alzerà dai 57 anni di età (ma solo per chi ha almeno 35 anni di contributi) previsti dalla precedente riforma firmata Lamberto Dini, ai 60.

Una rottura odiosa che penalizza generazioni di uomini e donne che hanno iniziato prestissimo a lavorare e che vedono spostarsi sempre più avanti la possibilità di riconquistarsi la "libertà", l'ultimo pezzo di vita, decidendo se dedicarlo ancora al lavoro oppure no. Uno dei pochi punti fermi del programma dell'Unione, sulla base del quale una sia pur ristretta minoranza degli italiani ha deciso di mandare a casa Berlusconi e premiare la coalizione di centrosinistra, prevede l'abolizione dello scalone di Maroni e il ripristino della riforma Dini.
Varata la Finanziaria di lacrime e sangue, digerita con difficoltà dalle componenti di sinistra del governo, è iniziato il tormentone che va sotto il nome di "fase due": su pressione del superministro economico Tommaso Padoa Schioppa, dell'Ue e della Banca europea si chiedono nuovi sacrifici per riempire i buchi lasciati dall'allegro Cavaliere. Prima vittima sacrificale, ancora una volta, i pensionati. Strana questa aggressione, nonostante il cambio di governo abbia prodotto almeno un risultato positivo: l'afflusso nelle casse dello stato di un bel po' di danaro fresco proveniente da un intervento virtuoso sull'area sterminata dell'evasione fiscale. Al punto di far dire a molti che, in questo quadro di risanamento, è stato un errore varare una Finanziaria così pesante che ha lasciato insoddisfatte molte categorie e soggetti sociali, a partire dai lavoratori dipendenti. Strano perché, se si separa la previdenza dall'assistenza, ecco che i conti pensionistici come d'incanto tornano positivi.
Chi chiede il rispetto degli impegni presi con gli elettori, sindacati in testa, ricorda che non esiste un'emergenza pensionistica e che, in ogni caso, è possibile operare non in modo punitivo con chi ha lavorato per una vita, bensì allargare la base contributiva: lotta ancora più dura all'evasione e all'elusione fiscale, nonché al lavoro nero e grigio, tassazione delle rendite e non dei salari e delle pensioni, regolarizzazione degli immigrati. Con questo cambio di impostazione sarebbe possibile migliorare ancora i conti previdenziali senza odiosi interventi punitivi. Cioè senza aumentare l'età della pensione.
La partita è apertissima, ma si temono mediazioni al ribasso del governo e, nella fattispecie, del ministro del lavoro Cesare Damiano, diessino doc. Si teme una mediazione che potrebbe accompagnare l'abolizione dello scalone con l'introduzione di qualche scalino, allungando nel tempo l'effetto devastante della Maroni ma salvandone il segno. Non più 57 anni ma 58, e poi a salire fino all'obiettivo dei 60. Val la pena ripetere ancora che stiamo parlando di chi ha iniziato a lavorare in fabbrica a 16-18 anni e ha continuato per almeno 35 anni. Al contrario, dicono i sindacati e la sinistra che si autodefinisce radicale per differenziarsi dagli attori del costituendo Partito democratico, la vera emergenza è la perdita di valore delle pensioni: la metà dei pensionati italiani guadagna meno di 1000 euro al mese, e moltissimi tra questi hanno un reddito inferiore ai 600 euro. Poi dicono che bisogna far ripartire i consumi.

Pubblicato il

26.01.2007 04:00
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